Nel precedente articolo pubblicato la scorsa settimana, analizzando le modalità con le quali determinare la base imponibile in materia di imposta sulle successioni, è stato puntualizzato che si considerano compresi nell’attivo ereditario denaro, gioielli e mobilia per un importo pari al 10% del valore globale netto imponibile dell’asse ereditario, anche se non dichiarati o dichiarati per un importo minore.
In merito, erano stati sollevati dubbi sulle modalità di calcolo della suddetta presunzione e, in particolare, se la stessa dovesse essere calcolata al netto oppure al lordo della franchigia riconosciuta dalla legge in favore di ciascun erede.
Per dirimere tale controversia è necessario raffrontare il testo dell’art. 69, comma 1, della legge n. 342 del 21 novembre 2000 con quanto stabilito dal D.Lgs. n. 346/1990 (TUS) nel testo previgente alla citata legge.
L’art. 7, D.Lgs. n. 346/1990, nel testo previgente alla legge n. 342/2000, stabiliva che “L’imposta è determinata mediante l’applicazione delle aliquote indicate nella colonna a) della tariffa al valore globale netto dell’asse ereditario”. L’art. 69 della legge n. 342/2000, invece, recita che “L’imposta è determinata dall’applicazione delle seguenti aliquote al valore della quota di eredità o del legato” eliminando ogni riferimento al valore dell’asse nel suo complesso.
In pratica, come precisato dal Ministero delle Finanze con la circolare n. 207 del 16 novembre 2000, “il tratto più qualificante della riforma” introdotta dall’art. 69, della legge n. 342 del 21 novembre 2000 riguarda il passaggio dalla determinazione indistinta dell’imposta sulla base dell’asse ereditario a quella distinta sulla base della quota riferita all’erede o al legato.
Il previgente testo del suddetto art. 7, peraltro, risultava anche in contrasto con i principi costituzionali in materia di tutela della famiglia nella parte in cui, per effetto dell’aumento indistinto (per erede) dell’asse ereditario di una percentuale del 10% e dell’applicazione delle aliquote all’asse così determinato, non teneva conto della devoluzione del patrimonio in favore di un discendente piuttosto che di un estraneo. Nella Costituzione, infatti, la famiglia rileva come comunità naturale costituita dall’unione tra un uomo e una donna, con assunzione di reciproci diritti e doveri mediante il matrimonio. Il nucleo centrale della disciplina costituzionale della famiglia è dato dall’art. 29 della Costituzione, che recita: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”
Ciò premesso, la soluzione al dubbio innanzi posto dalla dottrina è riscontrabile nella locuzione utilizzata nel 14° capoverso del punto 2.2.10 della Circolare n. 207/2000 del Ministero delle Finanze nella parte in cui afferma che “sono compresi nell’attivo ereditario denaro, gioielli e mobilia, nella misura del 10 per cento del valore imponibile…”.
Sulla base del riferimento, fatto dall’Amministrazione Finanziaria, al valore imponibile dell’asse ereditario e non alla sua massa, quindi, deriva che nei confronti del coniuge, dei figli, nonché nei confronti dei germani, per valore imponibile deve necessariamente intendersi il valore dell’attivo ereditario dedotti, oltre alle passività, gli importi delle franchigie.
Ne discende che la presunzione di cui trattasi si applica solo:
- sulla quota del singolo erede o legato;
- dopo aver dedotto l’importo delle franchigie.
Si ricorda, infine che rispetto alle modalità di applicazione della presunzione in commento, è ammessa la possibilità di evitare tale presunzione e di considerare importi, eventualmente inferiori o superiori a tale percentuale, se rilevati da apposito inventario analitico redatto a norma degli artt. 769 e seguenti del Codice di Procedura Civile.
Autore: Massimo D’Amico – Centro Studi CGN