Tale disposizione rientra, invero, in un complesso di norme (si pensi, ad esempio, alla norma che prevede la comunicazione elettronica delle fatture per un importo superiore a Euro 3.000) dirette al potenziamento dei controlli nei confronti di imprese che versano in situazioni particolari e volte a contenere l’evasione, l’elusione, nonché le frodi in materia di IVA concretizzatesi in ambito nazionale e internazione (si pensi alle cosiddette “frodi carosello”).
La volontà precisa del legislatore, nonché dell’Amministrazione Finanziaria, è quella di individuare e di sottoporre a controllo quelle imprese che producono fatture (attive e passive) in relazione, sovente, ad attività inesistenti. In tali casi, infatti, si è osservato che tentare il recupero delle imposte dirette e indirette è piuttosto arduo, soprattutto se gli organi accertatori intervengono nei “normali” tempi previsti per le attività di verifica.
Sotto il profilo soggettivo va precisato che le disposizioni di cui al precedente art. 23 si applicano solo alle imprese e non ai professionisti. Tale precisazione deriva dallo specifico dettato normativo che individua tra i soggetti destinatari della norma “Le imprese che cessano l’attività entro un anno dalla data d’inizio…” lasciando fuori da tali elenchi i professionisti.
Rispetto a quanto indicato nella norma, tuttavia, vi sono alcuni temi sui quali è opportuno soffermarsi. L’art. 23 del suddetto decreto legge, anche nel testo licenziato in occasione della legge di conversione, infatti, non precisa se per il computo della “durata inferiore a un anno” si debba considerare come data di inizio dell’attività quella riportata nel registro delle imprese o quella indicata nel modello di attribuzione del numero di partita IVA, anche se relativa a un periodo d’imposta precedente a quello indicato nel suddetto registro.
In merito, la Circolare n. 90/E del 17 ottobre 2001 ha precisato che, per individuare la data di inizio dell’attività delle persone fisiche titolari di reddito d’impresa, bisognava fare riferimento a quella “desumibile dal modello di dichiarazione ai fini IVA”; anche la Circolare n. 4 del 18 gennaio 2002 con riguardo alla data di inizio dell’attività precisò che, quando trattasi di società, è “sufficiente la sola costituzione e non anche il compimento di un atto prodromico rispetto all’esercizio dell’attività”.
In altri termini, se l’Amministrazione Finanziaria dovesse confermare le tesi innanzi esposte, per l’individuazione della tipologia di soggetti da sottoporre a controllo, non rileverà la circostanza che l’attività si sia protratta da un periodo d’imposta a quello successivo, in quanto, per verificare il presupposto temporale indicato dalla legge n. 122/2010 (entro un anno dalla data di inizio) occorre individuare la data di cessazione dell’attività, a prescindere che sia intervenuta in periodo d’imposta diverso rispetto a quello nel quale l’attività ha avuto avvio.
In assenza di chiarimenti da parte dell’Amministrazione Finanziaria, pertanto, per data di inizio dell’attività si ritiene che debba intendersi quella desunta dall’applicazione dell’art. 35 del D.P.R. n. 633/72. In altri termini, dovrebbe valere la data indicata nei modelli che rilevano ai fini dell’IVA, a prescindere se coincida o meno con quella indicata nel registro delle imprese.
Autore: Massimo D’Amico – Centro Studi CGN