La sentenza della Corte del 13 agosto 2010 n. 18702, infatti, interpretando il previgente art. 62, e riprendendo in buona sostanza quanto già affermato con la precedente sentenza n. 24188/2006 in relazione al compenso percepito da un amministratore unico di una Srl, afferma che il combinato disposto dei commi 2 e 3 da un lato “esclude l’ammissibilità di deduzioni a titolo di compenso per il lavoro prestato o l’opera svolta dall’imprenditore, limitando la deducibilità delle spese per prestazioni di lavoro a quelle sostenute per lavoro dipendente e per compensi spettanti agli amministratori di società di persone” e, dall’altro, “non consente di dedurre dall’imponibile il compenso per il lavoro prestato e l’opera svolta dall’amministratore di società di capitali”, la cui posizione sarebbe equiparabile, sotto il profilo giuridico, a quella dell’imprenditore individuale, non essendo assoggettato ad altrui potere direttivo.
Tale interpretazione è stata aspramente criticata sulla stampa specializzata dell’ultimo periodo ed appare infondata sia dal punto di vista normativo che sotto il profilo sostanziale. In particolare, si fa presente che già l’Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione n. 158 del 27 maggio 2002, aveva precisato che l’art. 62, comma 2 citato, riguardante l’indeducibilità dei compensi per il lavoro prestato dall’imprenditore, si applicava “al solo imprenditore individuale/persona fisica e non anche all’impresa esercitata in forma collettiva” e, altresì, rilevava che “non vi è motivo per escludere la deducibilità dei compensi per il lavoro prestato dal socio a favore della società di persone, considerata la posizione di alterità soggettiva in cui si trova quest’ultima rispetto al socio stesso e che viene assolutamente a mancare, invece, nell’impresa individuale”.
D’altro canto, il richiamo operato dall’art. 95, comma 1 del “vecchio” TUIR consentiva di applicare la disciplina relativa alla determinazione del reddito d’impresa delle società di persone anche alle società di capitali, allora soggetti IRPEG. Ed appare, quindi, quantomeno curiosa la circostanza che la Corte di Cassazione, pur in presenza di una norma positiva, sia addivenuta alle conclusioni contrarie di cui sopra mediante un processo di interpretazione, contravvenendo il principio secondo cui in claris non fit interpretatio.
Con la risposta del 30 settembre 2010 all’interrogazione parlamentare n. 5-03498, anche i sottosegratari al Ministero dell’Economia e delle Finanze, Sonia Viale e Alberto Giorgetti, hanno ricordato che l’unica condizione posta dall’art. 95, comma 5 del TUIR alla deducibilità dei compensi spettanti agli amministratori è che la stessa avvenga nell’esercizio di erogazione.
Da ultimo, con Circolare n. 13 del 4 ottobre 2010, si è espressa anche la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, secondo la quale non può ritenersi fondata la possibilità di incorrere in accertamenti fiscali sulla base delle conclusioni cui è pervenuta la Corte, oltretutto considerando che, con riferimento al periodo d’imposta 2003 e ai precedenti, sono in ogni caso scaduti i termini per la notifica degli atti impositivi, salvi i casi eccezionali legati ad eventuali accertamenti con rilevanza penale.
Si precisa che la sentenza della Corte in parola non può, ovviamente, essere applicata alla normativa attuale, in quanto si è limitata a giudicare la fattispecie sulla base delle disposizioni vigenti ante 2004. E’ forse superfluo ricordare, infatti, che, con l’introduzione dell’IRES operata dal D.Lgs. n. 344/2003, è stata prevista sul tema un’apposita disposizione, contenuta nell’art. 95, comma 5 del “nuovo” TUIR, che ammette esplicitamente dal 1° gennaio 2004 la deducibilità dei compensi erogati agli amministratori dei soggetti IRES, ovviamente nel rispetto del principio generale della inerenza, ponendo quale unica condizione di carattere antielusivo la “deducibilità per cassa” dei medesimi.
Autore: Mauro Daniotti – Centro Studi CGN