La disciplina dell’accertamento sintetico è stata oggetto di una radicale riscrittura ad opera del DL 78/2010 (cd. Manovra d’estate 2010) che, con effetto per gli accertamenti relativi ai redditi degli anni 2009 e successivi, ha sostituito i commi dal 4° all’8° dell’articolo 38 del DPR 600/73.
Sono quindi destinati a finire in soffitta i “vecchi” accertamenti sintetici e, soprattutto, i vecchi accertamenti redditometrici (quelli fondati sulle tabelle contenute nel DM 10.09.1992 e successivi Decreti e Provvedimenti di aggiornamento) che, tuttavia, continueranno ad essere applicabili alle annualità fino al 2008.
Difficilmente la vecchia disciplina verrà rimpianta, tanto era obsoleta e tali e tanti erano le iniquità che si venivano a realizzare: appare però necessario soffermarsi, fin da subito, sui principali profili di incertezza interpretativa che sorgono dalla lettura del nuovo testo normativo.
L’attenzione si concentra subito sul nuovo 4° comma il quale, disciplinando l’accertamento sintetico, stabilisce a favore dell’Amministrazione Finanziaria una presunzione legale relativa, individuando nel contempo un perimetro difensivo pericolosamente angusto.
Viene infatti previsto che il reddito complessivo del contribuente potrà essere sempre determinato sinteticamente “sulla base delle spese sostenute nel corso del periodo d’imposta”: siffatta formulazione letterale della norma, accompagnata dall’abrogazione del “vecchio” 5° comma (che prevedeva l’imputazione reddituale in cinque quote annuali dei cd. “incrementi patrimoniali”) induce un certo allarmismo circa la prevedibile futura attività accertativa tendente ad omogeneizzare gli investimenti ed i redditi: allarmismo che viene ulteriormente alimentato dal successivo inciso dedicato alla possibile prova contraria di cui il contribuente si troverà onerato, circoscritta dalla legge alla dimostrazione che “il relativo finanziamento è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d’imposta, o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile”.
Spiace rilevare che il Legislatore, così innovando l’articolo 38, abbia scordato la faticosa elaborazione dottrinale e giurisprudenziale che aveva da lungo tempo indotto a considerare come necessario uno spazio difensivo illimitato, tale da consentire al contribuente di reagire alla presunzione legale con ogni possibile prova contraria (si pensi, oltre alla ristretta casistica sopra rammentata, ad ogni fonte di finanziamento di natura non reddituale, pacificamente idonea ad avversare ogni accertamento sintetico).
Ne consegue – a titolo esemplificativo – che, se in ossequio ad ovvie ragioni di equità e comune buon senso, nessuno oserà immaginare che costituisca base di un possibile accertamento sintetico l’acquisto di un immobile interamente finanziato da mutuo (fonte di finanziamento di cui, tuttavia, la prova contraria citata dal Legislatore non fa parola), ad identiche conclusioni si dovrà giungere se il contribuente dimostrerà di aver finanziato l’acquisto attingendo ai risparmi pregressi, del tutto ingiustificata apparendo in tal caso la necessità di giustificare la natura reddituale di tali risparmi: ogni diversa interpretazione creerebbe illogiche disparità di trattamento oltre a dilatare oltre misura il privilegio probatorio accordato all’Amministrazione Finanziaria, ponendo in discussione la “relatività” della presunzione legale in commento.
Autore: Mauro Comin – Centro Studi CGN