L’ammortamento ridotto dei beni ammortizzabili

In alcuni casi il legislatore fiscale prevede la possibilità di effettuare il calcolo delle quote di ammortamento, da portare in diminuzione del reddito d’impresa, riducendo i coefficienti ordinariamente previsti dal DM 31 dicembre 1988. Tale procedimento prende il nome di ammortamento ridotto.

Con tale metodologia l’Amministrazione finanziaria riconosce fiscalmente una quota di ammortamento diversa da quella stabilita dai coefficienti ministeriali, accostando, quindi, le disposizioni civilistiche (che dispongono l’ammortamento sulla base della residua vita utile del bene) a quelle a carattere fiscale, preordinate a coefficienti fissati, per l’appunto, con decreto.

A seguito dell’approvazione della riforma dell’IRES, avvenuta nel 2004 con il D.Lgs. n. 344/2003, la disciplina riguardante l’ammortamento “ridotto” ha subito rilevanti modifiche.

A decorrere dal 1° gennaio 2004 le nuove regole di determinazione del reddito d’impresa, non prevedono più un limite minimo al di sotto del quale l’ammortamento ridotto risulta perso. In altre parole è possibile operare fiscalmente l’ammortamento “ridotto” oltre il 50% rispetto alla quota ordinaria e recuperare integralmente la differenza sotto forma di quote di ammortamento negli esercizi successivi. Tale possibilità è concessa anche perché:

  • i coefficienti ordinari di ammortamento rappresentano la misura massima, al di sotto del quale è possibile calcolare le quote di ammortamento in misura ridotta;
  • l’articolo 102, TUIR, non dispone nulla sugli ammortamenti ridotti.

Con due interventi, la risoluzione n. 51 del 22 aprile 2005 e la n. 78 del 17 giugno 2005, l’Agenzia delle Entrate ha fornito significativi chiarimenti in merito all’applicazione dell’articolo 102, del TUIR, con riferimento all’ammortamento “ridotto”.

La risoluzione n. 51/2005, infatti, aveva sottolineato che la mancata riproposizione della limitazione nella previgente disciplina, non poteva “essere interpretata quale volontà del legislatore di escludere… la possibilità di applicare coefficienti inferiori rispetto a quelli stabiliti dal D.M. 31 dicembre 1988. Nel sistema conseguente all’entrata in vigore dell’IRES è stato, in effetti, riproposto unicamente il limite massimo relativo alle quote di ammortamento ammesse in deduzione”. Pertanto, anche in assenza del  giustificato e documentato minor utilizzo del bene rispetto alla media del settore, la quota relativa all’ammortamento calcolato in misura ridotta oltre il 50% della quota ordinaria è recuperabile integralmente negli esercizi successivi.

Per quanto riguarda la quota di ammortamento calcolata in misura inferiore al 50% della quota fissata dalla legge (indicata nell’ultima colonna della suddetta tabella), si ricorda che rimane in vigore la disposizione prevista dal comma 4 dell’art. 16 D.P.R. n. 600/73, per cui le quote di ammortamento calcolate in misura inferiore alla metà del valore massimo del coefficiente applicabile, devono essere distintamente indicate nel registro dei beni ammortizzabili. Tale disposizione, tuttavia, nonostante risulti essere ancora vigente, non produce nessun effetto con riguardo alla deduzione del valore della quota di ammortamento calcolata nella misura sopra descritta.

 

Nella risoluzione n. 78/2005, però, l’Agenzia ha rivisto tale posizione, affermando che “…non può ammettersi in via generalizzata la possibilità di calcolare discrezionalmente gli ammortamenti fiscali, in misura diversa dagli ammortamenti civilistici e, quindi, in modo avulso dalle indicazioni di bilancio, state il principio di derivazione del reddito imponibile dal risultato dl conto economico enunciato all’articolo 83 del TUIR”.

In pratica l’ammortamento ridotto incontra il limite della disciplina civilistica ed è fiscalmente ammesso nella misura in cui viene imputato al conto economico.

In base a quanto precisato nella risoluzione n. 78/E/2005, gli effetti concreti di tale principio ricadono non tanto sul trattamento delle variazioni in aumento effettuate in un determinato esercizio a fronte di ammortamenti fiscali inferiori a quelli civilistici, del quale argomento si occupa la risoluzione n. 51/E/2005,  quanto sulle conseguenze che ne derivano negli esercizi successivi, “dovendosi in ogni caso escludere la possibilità di dedurre dal reddito dei futuri esercizi il minore ammontare  (rispetto a quello civilistico) degli ammortamenti non dedotti in precedenza, attraverso variazioni in diminuzione che non troverebbero legittimità nel sistema delle norme sul reddito di impresa. Quest’ultima possibilità è configurabile, invero, soltanto nei casi previsti dalla norma fiscale e, in particolare, nell’eventualità che le variazioni in diminuzione siano correlate a  simmetriche variazioni in aumento resesi necessarie a seguito della imputazione al conto economico relativo a precedenti esercizi di ammortamenti calcolati in misura superiore a quella fiscalmente consentita in applicazione dei coefficienti stabiliti dal D.M. 31 dicembre 1988”.

 

In questo senso la citata risoluzione:

  • non pone un divieto assoluto ad un ammortamento fiscale inferiore a quello civilistico;
  • ma, poiché lo assimila ad una scelta di mera convenienza, impedisce che l’eccedenza possa essere ammortizzata in futuro ed introduce, così, una nuova disciplina implicita di “quote perse”.

Si supponga, in merito, di avere i seguenti dati:

Costo di acquisto euro 100.000, vita utile stimata anni 8, metodo utilizzato quote costanti.

Il coefficiente civilistico è pari a (100% : 8)=12,5%, e il coefficiente fiscale ministeriale pari a 12,5%.

In tal caso avremo:

 

Nel caso dell’esempio sopra riportato il contribuente, pur avendo la possibilità di dedurre quote di ammortamento in misura pari all’importo indicato nel conto economico (nel secondo e nel terzo anno), avendo deciso di dedurre un importo in misura inferiore (10% in luogo del 12,5%), la differenza non dedotta in tali anni, come precisato dalla risoluzione n. 78/E/2005, non potrà essere ammortizzata in quelli successivi e costituisce una quota di ammortamento definitivamente persa.

Si precisa, tuttavia, che se l’ammortamento fiscale massimo consentito dovesse risultare inferiore a quello civilistico la differenza che scaturisce tra la disciplina civilistica e quella fiscale non essendo il frutto di una scelta del contribuente non genera quote di ammortamento perse.

A tal riguardo, riprendendo l’esempio di cui sopra, nell’ipotesi in cui il coefficiente civilistico fosse del 20% e quello fiscale del 15% avremo: