L’atto di portare in detrazione come spese sanitarie fatture ritenute “false”, apparentemente emesse da cliniche private, rientra nella fattispecie di reato “dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”.
Questo è quanto previsto dall’Art. 2 del D.lgs 74/2000.
Nella casistica in esame, infatti, non si tratta di una blanda contestazione di “dichiarazione infedele” come previsto dall’ Art. 4 del Dlgs sopra citato.
Quanto appena esposto è stato stabilito dalla Corte di Cassazione, terza sezione penale, sentenza numero 46785/11 depositata il 19 dicembre, che provvede ad annullare l’ordinanza del Tribunale di Napoli che a sua volta aveva cancellato il sequestro preventivo per equivalente emesso dal Gip nei confronti di un contribuente cosiddetto “Infedele”.
Nel caso specifico, il contribuente, considerate le indagini della procura della Repubblica, avrebbe portato in detrazione Irpef del 19% una serie di spese mediche documentate e supportate da fatture false e da documenti equipollenti risultati materialmente falsi.
Censurato dal Gip, che aveva congelato parte dei suoi beni per garantire la pretesa fiscale, il contribuente era stato provvisoriamente riabilitato dal Tribunale di Napoli, sulla base dell’assunto che l’articolo 2 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di false fatture) del sopra citato D.lgs “ è configurabile solo nell’ipotesi di utilizzazione di fatture ideologicamente false, mentre l’ipotesi della documentazione materialmente falsa (come quella in questione) deve rientrare nella fattispecie di cui all’art. 3 del Dlgs 74/2000 che punisce la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, ovvero in quella della dichiarazione infedele di cui all’articolo 4”.
La Cassazione ha, invece, a sua volta censurato la riforma in sede di impugnazione del sequestro preventivo, richiamando due precedenti sentenze (la numero 9673/11 e la numero 12284/2007) secondo cui la dichiarazione fiscale fraudolenta (articolo 2 del D.lgs 74/2000) è integrata da fatture false “non solo sotto il profilo ideologico, in riferimento alle operazioni indicate, ma anche sotto il profilo materiale, perché apparentemente emesse da ditta in realtà inesistente”.
La Cassazione argomenta “la distinzione tra falsità ideologica e falsità materiale introduce in materia tributaria una distinzione destinata ad operare nel campo dei reati contro la fede pubblica, che non ha rilevanza ai fini della repressione delle violazioni fiscali, per le quali rileva, invece, il mezzo adoperato per commettere la frode ed il suo carattere più o meno subdolo, che incide sulla possibilità di un rapido ed agevole accertamento”.
In sostanza, ciò che conta per la dichiarazione fraudolenta è l’“apparente affidabilità della documentazione contabile corrispondente allo schema normativo, cui la legge collega determinate conseguenze in materia fiscale”: quanto più la fattura è idonea ad ingannare il fisco, tanto più alta sarà la pericolosità sociale della condotta e quindi la necessità di una risposta sanzionatoria adeguata. Inoltre, mentre l’art. 3 del D.lgs74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) presuppone l’esistenza di scritture contabili, cioè confinando la contestazione a chi è obbligato per legge a tenerle, l’art. 4 dello stesso (dichiarazione infedele) si occupa di comportamenti di “evidente minore offensività per l’amministrazione tributaria” e, quindi, prevede una soglia di non punibilità inammissibile per un’insidia nascosta quale è l’esibizione di fatture mediche false.