“Nulla è dovuto per mero possesso computer, tablet e smartphone”. Con un laconico comunicato stampa la RAI fa marcia indietro sul versamento del canone speciale. Per le imprese – e le famiglie – non è dovuto nessun balzello per il semplice possesso di computer, tablet e smartphone di ultima generazione.
Si chiude (forse) così una vicenda che ha infiammato per qualche giorno la categoria dei professionisti e delle imprese chiamati a versare la gabella per il possesso di personal computer potenzialmente in grado di essere utilizzati anche per vedere programmi televisivi.
Il tiro è stato corretto, si legge nella nota, dopo che la stessa RAI ha incontrato i vertici del Ministero dello sviluppo economico.
La nota precisa che la RAI “non ha mai richiesto il pagamento del canone per il mero possesso di un personal computer collegato alla rete, i tablet e gli smartphone”.
E con riferimento alla campagna pubblicitaria si legge che la “lettera inviata dalla Direzione abbonamenti RAI si riferisce esclusivamente al canone speciale dovuto da imprese, società ed enti nel caso in cui i computer siano utilizzati come televisori (digital signage) fermo restando che il canone speciale non va corrisposto nel caso in cui tali imprese, società ed enti abbiano già provveduto al pagamento per il possesso di uno o più televisori”.
Per mamma RAI “Ciò quindi limita il campo di applicazione del tributo ad una utilizzazione molto specifica del computer” evidenziando però che “… in altri Paesi europei … nella richiesta del canone hanno inserito tra gli apparecchi atti o adattabili alla ricezione radiotelevisiva, oltre alla televisione, il possesso del computer collegati alla Rete, i tablet e gli smartphone”. Il comunicato stampa si conclude ribadendo che “… in Italia il canone ordinario deve essere pagato solo per il possesso di un televisore”.
Dopo le polemiche e il comunicato stampa occorre far chiarezza su alcuni aspetti.
La normativa che regola il pagamento del canone alla televisione pubblica è stabilita dal Regio Decreto 246/1938 e dalla legge n. 488/1999.
Recentemente è intervenuta la manovra “SalvaItalia” (D.L n. 201/2011) e va tenuta a mente la sentenza della Corte Costituzionale (n. 284/2002) circa la natura giuridica del canone.
Mettiamo in ordine i tasselli.
L’art. 1 del Regio decreto così recita: “chiunque detenga uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle radioaudizione è obbligato al pagamento del canone di abbonamento”.
La legge n. 488/1999, all’art. 16 stabilisce gli importi dovuti per il versamento del canone speciale da parte di imprese e società. Nel dettaglio la norma prevede le seguenti classi:
• Classe A per un importo pari a € 6.000,00 per alberghi a 5 stelle con più di 100 stanze;
• Classe B per un importo pari a € 2.800,00 per alberghi a 5 stelle con un numero di stanze tra 25 e 100 e i villaggi turistici;
• Classe C per un importo pari a € 1.900,00 per alberghi a 3 e 4 stelle con più di 10 televisori, esercizi pubblici di 1^ e 2^ categoria e sportelli bancari:
• Classe D per un importo di € 400,00 per gli esercizi pubblici di 3^ e 4^ categoria, gli ospedali, le cliniche e case di cura e gli uffici;
• Classe E per un importo di € 200,00 per gli studi professionali.
Va segnalata altresì la sentenza della Corte Costituzionale (n. 284/2002) che ha stabilito la natura di tributo del canone RAI legando la sua obbligatorietà al possesso dello strumento “indipendentemente dalla possibilità e dalla volontà di fruire dei programmi del servizio pubblico”.
La situazione è deflagrata a seguito della manovra Monti che ha introdotto l’art. 17 finalizzato a contrastare situazioni di irregolarità prevedendo che “le imprese e le società nella relativa dichiarazione dei redditi, devono indicare il numero di abbonamento speciale alla radio o alla televisione, la categoria di appartenenza ai fini dell’applicazione della tariffa di abbonamento radiotelevisivo speciale nonché gli altri elementi che saranno eventualmente indicati nel provvedimento di approvazione del modello per la dichiarazione dei redditi”.
I modelli dichiarativi (Modello Unico 2012 nelle diverse forme) si sono adeguati al dato normativo per accogliere gli elementi indicati nel citato articolo (UNICO SC/2012, righi RS111 e RS 112 – UNICO SP/2012, righi RS 46 e RS 47 – UNICO PF righi RS38 e RS 39 – UNICO ENC/2012, righi RS81 e RS82).
In linea di principio la posizione della RAI si fonda su un dato normativo che sembra consentire alla stessa di fare quello che ha fatto.
Il dietrofront si giustifica col fatto che si è trattato di un’interpretazione unilaterale che i vertici aziendali non potevano assumere in autonomia.
La partita è così solo rimandata in quanto spetterà al Legislatore pronunciarsi in merito alla legittimità della richiesta da parte della RAI di far pagare il canone speciale a imprese e professionisti relativamente a strumenti di lavoro che la tecnologia ha reso capaci di ricezione dei programmi radiotelevisivi.
La bufera, quindi, nasce da un appiglio normativo emanato in epoca tecnologica a dir poco preistorica rispetto all’attuale unitamente all’idea, alquanto curiosa da parte dei responsabili di Viale Mazzini, su come vengono impiegati i computer negli studi professionali e presso le imprese.
In data 23 febbraio il Sottosegretario allo Sviluppo Economico Massimo Vari ha risposto a un’interrogazione parlamentare spiegando che il pagamento del canone è relativo al “solo servizio di radiodiffusione”. Attendiamo di leggere il dettaglio.
Intanto i social network, tra battute e invettive, sono scatenati sull’argomento.
Intonando un motivo di Renato Zero mi aggiungo anch’io: “Viva la rai! Quanti geni lavorano solo per noi”.
Autore: Nicolò Cipriani – Centro Studi CGN