Una recente sentenza delle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione estende i confini della configurabilità del reato di esercizio abusivo di una professione.
“Concreta esercizio abusivo di una professione, punibile a norma dell’art. 348 cod. pen., non solo il compimento senza titolo, anche se posto in essere occasionalmente e gratuitamente, di atti da ritenere attribuiti in via esclusiva a una determinata professione, ma anche il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva, siano univocamente individuati come di competenza specifica di una data professione, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuità, onerosità e (almeno minimale) organizzazione, da creare in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolamente abilitato“.
È questo il principio di diritto affermato dalla sentenza n. 11545 del 23 marzo 2012 della Corte di Cassazione.
Analizziamo brevemente i fatti.
La Cassazione è intervenuta a decidere nell’ambito di un giudizio penale a carico di un uomo, che secondo l’accusa aveva posto in essere una serie di reati, dalla truffa all’esercizio abusivo della professione di dottore commercialista.
Limitatamente ai fatti commessi, l’uomo veniva condannato, sia in primo che in secondo grado. Quindi, segue il ricorso in Cassazione e l’assegnazione della causa alla Sesta Sezione Penale, che rilevando un contrasto giurisprudenziale rimette la causa alle Sezioni Unite.
Le Sezioni Unite sono state chiamate ad esprimersi in merito alla circostanza che le attività di tenuta della contabilità aziendale, redazione delle dichiarazioni dei redditi ed effettuazione dei relativi pagamenti integrino il reato di esercizio abusivo della professione di ragioniere, perito commerciale o dottore commercialista, qualora le stesse siano svolte in modo continuativo, organizzato e retribuito da chi non è iscritto al relativo Albo professionale.
Giova ricordare che nel tempo si sono formati due distinti orientamenti:
1) reato di esercizio abusivo della professione in presenza dello svolgimento di attività specificamente riservate da un’apposita norma a una data professione (orientamento tipico-tradizionale);
2) reato di esercizio abusivo della professione in presenza di atti caratteristici di una data professione (orientamento recente in seguito alla sentenza della Corte di Cassazione n. 49 dell’8 gennaio 2003).
Chiamate ad esprimersi, le Sezioni Unite hanno affermato che il reato non può estendersi all’esercizio di attività definite in senso estremamente lato e generico in seno agli ordinamenti professionali, ritenendo comunque di poter accogliere l’interpretazione estensiva (sentenza di Cassazione 49/2003) solo in presenza di attività qualificate di specifica o particolare competenza di una data professione (seppure non attribuite in via esclusiva) attraverso previsioni puntuali e non generiche.
Si legge altresì nella sentenza che “le condotte di tenuta della contabilità aziendale, redazione delle dichiarazioni fiscali ed effettuazioni dei relativi pagamenti, non integrano il reato di esercizio abusivo della professione di dottore commercialista o di ragioniere e perito commerciale, quali disciplinate rispettivamente, dai dd. PP. RR. nn. 1067 e 1068 del 1953, anche se svolte – da chi non sia iscritto ai relativi albi professionali – in modo continuativo, organizzato e retribuito, tale da creare, in assenza di indicazioni diverse, le apparenze di una tale iscrizione; a opposta conclusione, in riferimento alla professione di esperto contabile, deve invece pervenirsi se le condotte in questione siano poste in essere, con le caratteristiche sopra descritte, nel vigore del nuovo D. Lgs. 139/2005”.
Di fatto quindi, le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione, con la citata sentenza hanno posto fine al contrasto giurisprudenziale relativo alla determinazione dell’ambito applicativo del reato di abusivo esercizio di una professione (art. 348 C.p.).
Autore: Antonino Salvaggio – Centro Studi CGN
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