Molto spesso nel nostro lavoro si parla di diritti reali di godimento.
Ricordiamo brevemente quali sono.
I diritti reali di godimento sono diritti che presentano un contenuto limitato in quanto hanno per oggetto cose altrui da cui si traggono delle utilità.
La cosa gravata da un diritto reale di godimento può essere trasferita a terzi, che l’acquistano ugualmente gravata, in quanto la limitazione inerente la cosa la segue in tutti i suoi trasferimenti.
È il codice civile che disciplina i diritti reali di godimento; essi sono:
• Il diritto di superficie
Disciplinato dell’art. 952 c.c. il diritto di superficie è il diritto di fare e mantenere una costruzione sul suolo altrui, conservandone la proprietà e il diritto di acquistare la proprietà di una costruzione senza però acquistare la proprietà del suolo su cui la costruzione insiste. Il diritto può anche riguardare costruzioni effettuate al di sotto del suolo (es. la proprietà di una cantina).
Il diritto di superficie si costituisce per contratto, per testamento o anche attraverso altri tipi di negozi, a titolo gratuito o a titolo oneroso, per sempre o per un tempo limitato. L’atto di costituzione deve rivestire la forma scritta ed essere trascritto.
Solo il proprietario del suolo può costituire il diritto di superficie. Non ne sono legittimati invece i titolari di un diritto reale limitato come l’usufruttuario, l’enfiteuta o il titolare di una servitù. Il proprietario, una volta concesso il diritto, deve astenersi da qualsiasi tipo di atto che possa ostacolare la realizzazione della costruzione o in generale l’esercizio del diritto del superficiario. Quest’ultimo può, in caso di comportamento molesto del proprietario, agire a tutela del suo diritto con azioni petitorie o possessorie, se ha il possesso dell’immobile.
Il superficiario, qualora il suo diritto derivi da un negozio a titolo oneroso, deve versare al proprietario un canone periodico quale corrispettivo per il godimento. Egli può anche alienare la proprietà superficiaria o costituire su di essa diritti reali limitati che però si estinguono con il venire meno del diritto di superficie.
Il diritto di superficie viene meno per:
– rinunzia del superficiario;
– scadenza del termine, qualora il diritto si sia costituito per un tempo determinato;
– confusione, che si realizza quando la proprietà del suolo e quella superficiaria si riuniscono nella stessa persona (consolidazione);
– prescrizione, quando il superficiario non esercita il suo diritto per 20 anni.
Quando viene meno il diritto di superficie il proprietario del suolo acquista anche la proprietà della costruzione.
• Il diritto di enfiteusi
L’enfiteusi è diritto reale di godimento su cose altrui ed è caratterizzata dal fatto che l’enfiteuta riceve in concessione il godimento su un fondo altrui, obbligandosi a pagare al concedente un canone annuo, in denaro o in natura, e assumendo in più l’obbligo di migliorare il fondo stesso.
L’enfiteusi può essere costituita per testamento o per atto tra vivi, in perpetuo o a tempo determinato e la sua durata minima non può comunque essere inferiore a vent’anni.
L’enfiteuta ha sul fondo e sulle accessioni gli stessi diritti che avrebbe il proprietario del fondo medesimo.
Egli ha l’obbligo di migliorare il fondo e di pagare al concedente un canone periodico che può consistere sia in una somma di danaro, che in una quantità fissa di prodotti naturali.
L’enfiteuta non può pretendere remissione o riduzione del canone per la sterilità del fondo o la perdita dei frutti.
Può disporre del proprio diritto per atto tra vivi o per testamento e in caso di alienazione non è dovuta al concedente alcuna prestazione a meno che tale facoltà non sia stata vietata all’enfiteuta nell’atto costitutivo e per un tempo che comunque non può essere superiore a 20 anni.
Nel caso in cui l’enfiteuta proceda ad alienare il suo diritto anche contro tale divieto, egli non è liberato dai suoi obblighi verso il concedente ed è obbligato solidalmente con l’acquirente.
Le imposte e gli altri pesi che gravano sul fondo sono a carico dell’enfiteuta, salva diversa disposizione di legge; infatti, il titolo costitutivo dell’enfiteusi può porli a carico del concedente, il cui obbligo, in tal caso, non può eccedere l’ammontare del canone.
Il concedente può chiedere la devoluzione del fondo enfiteutico, cioè il riacquisto della piena proprietà, se l’enfiteuta ha lasciato deteriorare il fondo o si sia reso inadempiente all’obbligo di migliorarlo, oppure se sia in mora nel pagamento di due annualità di canone.
Quando cessa l’enfiteusi il concedente deve rimborsare l’enfiteuta dei miglioramenti e delle addizioni effettuate.
Il concedente può chiedere la ricognizione del proprio diritto da chi si trova nel possesso del fondo un anno prima del compimento del ventennio, al fine di impedire che maturi l’usucapione a vantaggio del possessore. La ricognizione è un atto le cui spese sono a carico del concedente.
L’enfiteusi si estingue per:
– decorso del termine ( se temporaneo);
– perimento totale del fondo;
– prescrizione estintiva per non uso ventennale;
– devoluzione;
– affrancazione.
L’affrancazione del fondo enfiteutico
L’enfiteuta può affrancare il fondo, ossia acquistarne la proprietà, con il pagamento di una somma risultante dalla capitalizzazione del canone annuo sulla base dell’interesse legale. La somma da pagare corrisponde a 15 volte il canone annuo.
L’affrancazione può avvenire con il consenso delle due parti mediante atto scritto da trascriversi secondo le norme che regolano la pubblicità immobiliare. Se, invece, non vi sia l’accordo delle parti, l’enfiteuta può adire all’autorità giudiziaria secondo una procedura regolata da leggi speciali. L’affrancazione estingue l’enfiteusi per confusione.
• Il diritto di usufrutto
Ai sensi del codice civile l’usufrutto è “il diritto di godere e usare della cosa altrui, mobile o immobile, traendone i frutti e tutte le utilità che essa può dare, senza mutarne la destinazione economica“.
Per cui lo scopo di tale istituto è quello di attribuire temporaneamente ad altri i frutti e le utilità che una data cosa può produrre.
Esso si può costituire:
– per testamento;
– per contratto;
– per usucapione;
– per volontà della legge – usufrutto legale – (ad es. l’usufrutto attribuito ai genitori sui beni dei figli minori).
Il nudo proprietario è il proprietario della cosa che si vede privato dell’utilizzo della stessa per tutta la durata dell’usufrutto; ne riacquista la proprietà solo al termine del rapporto.
Proprio perché l’usufrutto ha la funzione di provvedere alle esigenze di vita dell’usufruttuario ne deriva che esso non può eccedere la vita dell’usufruttuario, ossia tale diritto si estingua alla morte dell’usufruttuario. Se, invece, l’usufrutto è costituito a favore di una persona giuridica, ad esempio una società, allora non può eccedere i trent’anni.
Quando l’usufrutto ha per oggetto cose consumabili, si parla di quasi-usufrutto. In questo caso l’usufruttuario ha il diritto di servirsene con l’obbligo però di pagarne il valore al termine dell’usufrutto o di restituirne altre di eguale quantità e qualità.
Diritti e doveri dell’usufruttuario
L’usufruttuario, avendo il possesso della cosa, ha il diritto di farne propri i frutti, di cedere il proprio diritto per un certo tempo o per tutta la durata del rapporto (sempre ché ciò non sia vietato dal titolo costitutivo) avendo cura di notificare la cessione al nudo proprietario.
L’usufruttuario ha diritto, alla cessazione del rapporto, ad un’indennità per i miglioramenti apportati alla cosa.
Nell’esercitare il proprio diritto, l’usufruttuario deve usare la diligenza del buon padre di famiglia provvedendo alle spese e agli oneri relativi alla custodia, all’amministrazione e alla manutenzione ordinaria del bene, provvedendo a redigere l’inventario dei beni e a pagare i canoni e le imposte di cui il bene è gravato.
Il nudo proprietario, dal canto suo, deve farsi carico delle spese per le riparazioni straordinarie.
È vietato all’usufruttuario mutare la destinazione economica della cosa, consumarla
o distruggerla, dovendo egli essere tenuto alla conservazione e alla manutenzione della cosa.
L’usufruttuario ha inoltre diritto ad esercitare una serie di azioni al fine di tutelare il proprio diritto:
– l’azione di nunciazione, qualora ritenga che alla cosa possa derivare un danno imminente da opere altrui o da cose inanimate;
– l’azione possessoria;
– l’azione di rivendica;
– l’azione di accertamento;
– l’azione negatoria.
L’usufrutto si estingue per i seguenti motivi:
1. per non uso ventennale della cosa;
2. per perimento della cosa;
3. morte dell’usufruttuario;
4. quando l’usufrutto e la nuda proprietà si riuniscono nella stessa persona (consolidazione);
5. per rinuncia dell’usufruttuario;
6. per scadenza del termine convenuto;
7. per abusi dell’usufruttuario che lasci perire la cosa.
• I diritti d’uso e di abitazione
L’uso e l’abitazione sono diritti reali di godimento, al pari dell’usufrutto. Si differenziano da esso per la minore ampiezza del loro contenuto.
Essi si costituiscono per atto negoziale (testamento o contratto) o per usucapione.
Ai sensi dell’art. 1021 del C.c. l’uso si fonda “sul diritto di servirsi di una determinata cosa e, nel caso sia fruttifera, di raccogliere i frutti per quanto serve ai bisogni suoi e della sua famiglia“.
I bisogni dell’usuario devono essere valutati in base alla sua condizione sociale.
In base all’art. 1022 del C.c. l’abitazione è il “diritto di abitare una casa, sempre però limitatamente ai bisogni del titolare e della sua famiglia”.
Il codice civile ricomprende nel concetto di famiglia non solo i figli o il coniuge, ma anche le persone conviventi con il titolare per prestare a lui o alla sua famiglia i loro servizi.
È fatto divieto assoluto di cedere o dare in locazione i diritti di uso e di abitazione.
Chi ha l’uso di un fondo e ne raccoglie tutti i frutti oppure chi ha il diritto di abitazione e occupa tutta la casa deve concorrere alle spese di coltura, alle riparazioni ordinarie e al versamento dei tributi al pari dell’usufruttuario.
Se poi il titolare del diritto d’uso o di abitazione raccoglie solo una parte dei frutti o occupa solo una parte della casa, allora deve contribuire in proporzione di ciò che gode.
All’uso e all’abitazione si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni relative all’usufrutto.
• La servitù
La servitù è un “peso imposto su un fondo, detto servente, per l’utilizzo di un altro fondo, detto dominante, appartenente ad un proprietario diverso“.
Il peso imposto sopra il fondo servente deve consistere unicamente in un “non fare” qualcosa o nel sopportare una determinata attività del proprietario del fondo dominante. Inoltre, è necessario che il proprietario del fondo dominante e quello del fondo servente siano due persone diverse, non potendo il proprietario di due fondi costituire una servitù a vantaggio di un fondo e a carico dell’altro. Infatti, se i due fondi diventano di proprietà della stessa persona la servitù si estingue per confusione.
Affinché vi possa essere servitù occorre che i due fondi siano vicini, non necessariamente confinanti, in modo che la servitù possa essere esercitata.
L’utilità del fondo dominante può consistere anche in una maggiore comodità o amenità o essere collegata alla sua destinazione industriale. L’utilità può, inoltre, essere reciproca quando entrambi i proprietari impongono ai rispettivi fondi un peso a vantaggio dell’altro di modo che ciascun fondo sia al tempo stesso fondo servente e dominante (si pensi ad una reciproca servitù di passaggio).
Le spese necessarie per l’uso e la conservazione della servitù sono a carico del proprietario del fondo dominante.
Le servitù si dividono in due categorie:
– servitù coattive: si costituiscono in forza di legge, per cui quando il proprietario di un fondo ha diritto di ottenere da parte del proprietario di un altro l’istituzione di una servitù coattiva questa, in mancanza di accordo contrattuale, è costituita con sentenza o con atto dell’autorità amministrativa.
– servitù volontarie: si costituiscono per contratto o per testamento.
Le servitù si estinguono per:
1) confusione, quando la proprietà del fondo servente e quella del fondo dominante si riuniscono nella stessa persona;
2) per non uso ventennale (prescrizione estintiva);
3) abbandono del fondo servente, da parte del suo titolare, con rinuncia alla proprietà in favore del proprietario del fondo dominante.
Autore: Rita Martin – Centro Studi CGN