In questo articolo introdurremo l’iter da percorrere per svolgere correttamente il processo di valutazione dei rischi nei luoghi di lavoro, mutuandolo in parte dalla proposta della Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (OSHA) e ne approfondiremo la prima fase: l’individuazione dei rischi e delle persone esposte.
La proposta di seguire un percorso suddiviso per fasi nasce dalla necessità di semplificare un processo valutativo che risulta complesso già dalla definizione che ci fornisce la stessa normativa.
Il “Testo Unico della Sicurezza sul Lavoro” (d.lgs. 81/2008 modificato dal decreto correttivo 106/2009), infatti, prevede che la valutazione dei rischi nei luoghi di lavoro debba essere necessariamente una “valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione”.
E’ opportuno, quindi, al fine di facilitare tale procedimento, scorporarlo in più fasi, che possono essere così sintetizzate:
FASE 1: INDIVIDUAZIONE DEI RISCHI E DELLE PERSONE ESPOSTE
Identificare le potenziali fonti di rischio e le persone che possono esservi esposte.
FASE 2: STIMA DEL RISCHIO
Attribuire un “valore” ai rischi individuati nella fase precedente, anche in relazione all’adeguatezza o meno delle misure di tutela già adottate.
FASE 3: DETERMINAZIONE DELLE AZIONI PREVENTIVE E PROTETTIVE
Identificare le misure adeguate per eliminare, o perlomeno ridurre, i rischi.
FASE 4: ELABORAZIONE DEL DVR
Elaborare il documento di valutazione dei rischi, secondo le prescrizioni del “Testo Unico della Sicurezza sul lavoro”.
FASE 5: ATTUAZIONE DELLE AZIONI PREVENTIVE E PROTETTIVE
Mettere in atto le misure di prevenzione e protezione stabilite.
FASE 6: MONITORAGGIO E AGGIORNAMENTO
Controllare e aggiornare periodicamente la valutazione dei rischi e il relativo documento.
Approfondiamo, ora, la prima fase della valutazione dei rischi.
FASE 1: INDIVIDUAZIONE DEI RISCHI E DELLE PERSONE ESPOSTE
Innanzitutto, che cosa si intende con “rischio”?
Spesso la parola “rischio” viene utilizzata come sinonimo di “pericolo”, ma le due parole hanno significati diversi.
Il Testo Unico della Sicurezza sul Lavoro, infatti, definisce il pericolo come la “proprietà o la qualità intrinseca di un determinato fattore avente il potenziale di causare danni”; il rischio, invece, come la “probabilità di raggiungimento del livello potenziale di danno nelle condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato fattore o agente oppure alla loro combinazione”.
La presenza di un pericolo nei luoghi di lavoro, dunque, non comporta necessariamente un rischio: la presenza o meno di un rischio sarà, bensì, conseguenza della probabilità che tale pericolo si concretizzi in un evento dannoso, in base alle condizioni di impiego o di esposizione di uno o più agenti o fattori.
I rischi presenti nei luoghi di lavoro, inoltre, possono essere classificati in tre categorie, in base alla loro natura.
a) Rischi per la sicurezza o di natura infortunistica. Sono quelli responsabili del potenziale verificarsi di incidenti o infortuni, in conseguenza di un impatto fisico – traumatico di diversa natura (meccanica, elettrica, chimica, termica, …).
b) Rischi per la salute o di natura igienico ambientale. Sono quelli responsabili della potenziale compromissione dell’equilibrio biologico, causato dall’emissione nell’ambiente di fattori ambientali di rischio, di natura chimica, fisica e biologica.
c) Rischi per la sicurezza e la salute o trasversali. Sono propri della complessa articolazione che caratterizza il rapporto tra il lavoratore e l’organizzazione del lavoro (fattori psicologici, ergonomici, condizioni di lavoro, …).
L’identificazione delle potenziali fonti di rischio deve essere effettuata attraverso l’analisi dei luoghi di lavoro e del ciclo lavorativo, attraverso:
• il sopralluogo degli ambienti e la verifica dei fattori e degli agenti che possono essere dannosi;
• la consultazione diretta dei lavoratori oppure dei loro rappresentanti, in quanto conoscitori primari delle fasi lavorative e delle misure di prevenzione adottate;
• l’esame sistematico di tutti gli aspetti dell’attività. Tale indagine deve comprendere l’osservazione di cosa accade realmente nei luoghi di lavoro durante l’attività, comprese le operazioni straordinarie e intermittenti (operazioni di manutenzione, variazioni nei cicli di produzione, ecc.) e la possibilità di accadimento di eventi non previsti ma prevedibili (ad esempio eventuali interruzioni dell’attività lavorativa);
• la valutazione dei pericoli a lungo termine per la salute (livelli elevati di rumore, esposizione a sostanze nocive, rischi psicosociali, ecc.);
• lo studio dei registri aziendali degli infortuni e delle malattie professionali;
• la raccolta delle informazioni da manuali d’istruzioni, schede tecniche, organismi e associazioni di categoria, regolamenti e norme tecniche.
Successivamente all’identificazione dei rischi presenti nei luoghi di lavoro, è necessario individuare quali sono le persone soggette a ciascuno di essi, suddividendo i lavoratori occupati in “gruppi omogenei”: insiemi di lavoratori che, per tipo di lavorazioni svolte, luoghi frequentati e tempi di frequentazione dei luoghi, possono essere considerati omogenei dal punto di vista dell’esposizione ai rischi. E’ necessario tenere presente che le persone esposte ai rischi possono essere non solo i lavoratori, bensì anche gli utenti che accedono a diverso titolo nei luoghi di lavoro (clienti, avventori, fornitori, …).
In questa fase, deve essere prestata particolare attenzione sia alle questioni di genere, che alla presenza di gruppi di persone particolarmente soggette a fattori di rischio: disabili, provenienti da altri Paesi, giovani o anziani, donne in stato di gravidanza o in allattamento, personale privo di formazione e lavoratori con contratti “atipici” (part-time, precari, ecc.).
Autore: Sara Leon – Centro Studi CGN