In materia di IMU, l’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 73 del 6 luglio 2012, ha precisato che le istanze di interpello e, in generale, le fattispecie relative a tributi locali sono materia esclusiva dei Comuni.
È questa la conclusione cui è giunto l’Erario, a cui un contribuente si era rivolto per definire l’applicazione dell’agevolazione spettante a coloro che adibiscono un immobile ad abitazione principale.
In merito, l’istante ha chiesto di conoscere il corretto trattamento tributario di un fabbricato posseduto in comproprietà con altri due fratelli e da questi utilizzato come abitazione principale. In particolare, l’istante aveva precisato di essere proprietaria di una quota, pari al 33%, di un immobile nel quale dimorano e risiedono i due fratelli.
Inoltre, l’istante precisava all’Amministrazione finanziaria di non avere altre proprietà immobiliari oltre a quella oggetto dell’interpello e di non poter procedere alla vendita dell’appartamento in questione in quanto il medesimo è abitato dai fratelli. Per tali motivi, l’istante ha ritenuto di dover pagare l’IMU fruendo delle agevolazioni previste per l’abitazione principale, sebbene non abbia la residenza nello stesso Comune dove si trova l’immobile soggetto a tassazione.
L’Agenzia delle entrate, in merito, ha ritenuto opportuno non fornire alcuna soluzione al caso di specie, e ha rinviato la trattazione al Comune impositore competente, analogamente a quanto stabilito in materia di ICI.
Secondo l’Agenzia delle entrate, infatti, le istanze di interpello riguardanti l’IMU sono di competenza dei Comuni, trattandosi di gestione dei tributi locali. A tal fine, l’Amministrazione finanziaria ha sottolineato, da un lato, la disposizione di cui al comma 11, ultimo capoverso, art. 13, D.L. n. 201 del 6 dicembre 2011 (cosiddetto decreto Salva Italia), secondo cui “le attività di accertamento e di riscossione dell’imposta erariale sono effettuate dal Comune, al quale spettano le maggiori somme derivanti dallo svolgimento delle attività stesse a titolo di imposta, interessi e sanzioni”. Inoltre, la stessa Amministrazione ha ribadito che, in merito, aveva già espresso analogo parere con la risoluzione n. 1/DPF del 29 gennaio 2002, in materia di ICI.
Al riguardo, infatti, le rigide norme dettate dall’art. 11 della legge n. 212 del 2000, consentono al contribuente di vincolare l’attività del soggetto attivo dell’obbligazione tributaria all’interpretazione formulata nell’istanza di interpello in ordine all’applicazione di disposizioni tributarie a casi concreti e personali. Pertanto, nell’ipotesi in cui la questione verta sui tributi locali, è solamente l’ente locale che deve comunicare al contribuente la linea interpretativa che seguirà nella fase di accertamento del tributo, quando cioè si troverà a esaminare la particolare posizione.
Tanto premesso, non rimane che attendere la risposta (non semplice) del Comune circa la soluzione relativa alla fattispecie prospettata dal contribuente.
In merito, infatti, si precisa che la Corte di Cassazione, con le sentenze n. 15566 del 30 giugno 2010 e n. 14825 del 5 luglio 2011, ha sancito il principio dell’inscindibilità e dell’unitarietà della destinazione del fabbricato; pertanto, stante quanto stabilito dalla suprema Corte, non sarebbe agevole per il Comune stabilire un trattamento diverso per l’istante rispetto ai fratelli. Tuttavia non ci sarebbe nulla di cui meravigliarsi se il Comune decidesse per l’assoggettamento della quota di possesso della contribuente senz’applicazione di alcuna agevolazione, ritenendola relativa ad altri fabbricati.
Autore: Massimo D’Amico – Centro Studi CGN