Esenzione dai ticket sanitari, riduzione delle tasse universitarie, sconti sulla mensa scolastica, contributi all’affitto, borse di studio. Sono alcune delle prestazioni sociali agevolate a cui i cittadini hanno diritto se dichiarano una situazione economica di difficoltà. Il parametro per misurare le condizioni effettive di una famiglia è l’ISEE, ovvero l’Indicatore della Situazione Economica Equivalente che tiene conto non soltanto del reddito ma anche delle proprietà mobiliari e immobiliari nonché della composizione del nucleo familiare.
E’ guerra aperta contro i furbetti che dichiarano dati non rispondenti al vero pur di cogliere i benefici pubblici a cui l’ISEE è legato. Al riguardo numerose sono le denunce per le autodichiarazioni non rispondenti al vero con una serie di conseguenze sia sul piano amministrativo che penale. Infatti oltre alla revoca del beneficio, alle sanzioni pecuniarie possono aggiungersi le conseguenze riguardanti l’ambito penale della dichiarazione falsa.
Si segnala il caso di un soggetto privato che dichiarava di essere titolare di redditi pari a zero in una dichiarazione sostitutiva. La dichiarazione si è rivelata non veritiera. Infatti, a seguito di una verifica veniva contestata la falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (ex art. 483 del codice penale) e iniziava il processo. Il tribunale condannava il ricorrente che proponeva ricorso. La Corte di Appello confermava la condanna di primo grado per il delitto di false dichiarazioni sul reddito, rese in dichiarazione sostitutiva di certificazione. In ultimo grado, il ricorrente sosteneva che nel caso specifico mancava sia l’elemento soggettivo, poiché il delitto era stato compiuto per distrazione, sia l’elemento oggettivo, poiché la dichiarazione del privato resa al pubblico ufficiale non è da considerarsi atto pubblico. La Suprema Corte di Cassazione rigetta il ricorso e conferma la condanna.
La Corte di Cassazione ha più volte comminato la sanzione penale per dichiarazioni mendaci e atti falsi. Le norme di riferimento sono costituite dall’art. 76 del Testo Unico in materia di documentazione amministrativa e dell’art. 483 del codice penale. Tali nome dispongono che il privato che pone false attestazioni circa gli stati, le qualità personali e i fatti così come da articolo 46 del Testo Unico, al fine di ottenere determinati benefici, risponde del reato di falsità ideologica.
E’ inutile rifarsi alla buona fede poiché si sostiene che il privato che dichiara il proprio reddito non può non conoscere la sua reale posizione reddituale e quindi l’elemento soggettivo del dolo è presente con la conseguenza di irrilevanza giuridica della leggerezza o negligenza. La verifica del dolo e della sussistenza dell’elemento soggettivo deve essere oggetto di indagine da parte del giudice che deve stabilire che la dichiarazione sia frutto di un volontario e consapevole atteggiamento di falsità.
Per quanto concerne il delitto di falsità ideologica (ex art. 483 cod. pen.), il presupposto soggettivo è costituito dalla “volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto con la consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero” escludendo il dolo nei soli casi in cui la falsità è derivante da una leggerezza o da una negligenza. Messa in questi termini la questione, l’imputato si trova nell’impossibilità di dimostrare che ha redatto la propria dichiarazione con leggerezza in quanto era consapevole che la sua posizione reddituale non poteva essere pari allo zero.
Secondo i giuristi la norma che disciplina il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atti pubblici ha natura di “norma in bianco” e, quindi, per la definizione del suo contenuto, è necessario il collegamento con una diversa norma, anche di carattere extrapenale, che possa portare valenza probatoria all’atto della dichiarazione non veritiera. Diventa necessario quindi il collegamento con l’autocertificazione, ex D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 che ha proprio la funzione di norma integratrice del precetto penale portando efficacia probatoria alla dichiarazione del privato di provare i fatti attestati.
Ci sono altre norme di carattere penale che riguardano le false attestazioni: in particolare l’art. 316 ter del codice penale rubricato “Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato” che stabilisce:
- l’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (in pratica una truffa aggravata dal fatto che a farne le spese è gente bisognosa);
- salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’articolo 640-bis, chiunque mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
E’ il caso di precisare che quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a euro 3.999,96 si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da euro 5.164 a euro 25.822. Tale sanzione non può comunque superare il triplo del beneficio conseguito.
Gli esiti dei controlli sono imbarazzanti. Il numero delle attestazioni irregolari è elevato con tutte le conseguenze del caso. Visto l’andazzo, la Guardia di Finanza e gli Enti interessati alla concessione dei benefici pubblici hanno siglato una serie di protocolli di intesa al fine di intensificare i controlli.
Non è proprio il caso di scherzare!
Nicolò Cipriani – Centro Studi CGN