S.O.S. Commercialisti: elaborazione dati non è attività esclusiva

Negli ultimi tempi non facciamo altro che parlare di professione e di tutto ciò che ha a che fare con la ricerca di soluzioni ai vari problemi comuni. Poi però, arriva una sentenza come questa che mette sempre più in allarme la nostra categoria professionale!

L’elaborazione dei dati ai fini fiscali può essere svolta anche da un soggetto non iscritto all’albo e non è attività riservata in via esclusiva ai commercialisti.

È questa la decisione della sentenza n. 953 pubblicata il 16 gennaio 2013 dalla Corte di Cassazione. Non è una novità, ma un’ennesima conferma di un orientamento ormai consolidato nel tempo.

Analizziamo più in dettaglio i fatti.

Il titolare di una ditta individuale specializzata nell’elaborazione dei dati contabili, ottiene decreto ingiuntivo nei confronti di un cliente (una società in accomandita semplice), in ragione dei servizi resi al medesimo. La società cliente propone allora opposizione, eccependo l’inesistenza di qualsiasi incarico per la tenuta della propria contabilità e la mancanza del requisito di iscrizione all’albo alla ditta ingiungente.

Il Tribunale e la Corte di Appello bocciano l’opposizione. Alla società cliente non resta che ricorrere in Cassazione.

I giudici della Suprema Corte però, investiti della decisione, hanno confermato la legittimità della pretesa creditoria azionata, avendo la ditta ingiungente svolto mera attività materiale di elaborazione dei dati forniti dalla società cliente, relativa alla tenuta della contabilità.

Le modalità di svolgimento dell’incarico e le varie funzioni direttive e decisionali, erano state invece affidate separatamente al commercialista.

I giudici hanno applicato l’ormai consolidato principio che l’esecuzione di una prestazione d’opera di natura intellettuale, effettuata da soggetti non iscritti negli appositi albi previsti dalla legge, determina la nullità assoluta del rapporto tra professionista e cliente, privando il contratto di qualsiasi effetto, con la conseguenza che il professionista non iscritto all’albo o non munito nemmeno della prescritta qualifica professionale, non ha alcuna azione per il pagamento della retribuzione. (art. 1418 e 2231 del Codice Civile).

Al di fuori di tali attività, vige, infatti, il principio generale di libertà di lavoro autonomo o di libertà di impresa di servizi, a seconda del contenuto delle prestazioni e della relativa organizzazione (salvi gli oneri amministrativi e tributari). In linea con la stessa posizione, si pone anche la pronuncia della Suprema Corte con la sentenza n. 14085/10.

I giudici della Suprema Corte chiariscono anche che il suddetto principio è stato enunciato in relazione a tutte le attività che non rientrano tra quelle riservate ai soggetti iscritti ad albi o provvisti di abilitazione, come ad esempio le attività di tenuta delle scritture contabili dell’impresa, la redazione dei modelli per la dichiarazione dei redditi e dell’Iva, l’effettuazione dei calcoli Irap, la presentazione di domande presso le Camere di Commercio o la stessa richiesta di certificati camerali.

E così, come nel caso di specie, quando viene rilevata la mera attività materiale di elaborazione dati ai fini contabili, questo principio non può che trovare applicazione.

E allora, in un periodo buio come quello che stiamo attraversando, anche se gli iscritti agli albi possono svolgere moltissime attività per le quali hanno studiato e fatto una regolare pratica per affrontare il mercato, sembra legittima la domanda: cosa resta ai commercialisti (e sono più del 90%) che vivono solo di questo?

Autore: Antonino Salvaggio – Centro Studi CGN

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