La mobilità dei lavoratori in ambito internazionale è cresciuta in modo significativo e le modalità di svolgimento del lavoro all’estero sono diventate molto diverse in un panorama normativo sia fiscale che previdenziale assai complesso. Sempre più spesso il lavoratore all’estero è un lavoratore qualificato che si trova ad operare in un periodo di tempo più o meno lungo anche in più stati. Per chi lavora all’estero sono previste tre diverse modalità di tassazione. Vediamo quali sono.
Il dipendente può essere tassato sulla base della retribuzione effettivamente percepita o sulla base della retribuzione convenzionale oppure, in caso si tratti di lavoratore cosiddetto di frontiera, che si reca abitualmente per lavoro all’estero ma rimane dimorato in Italia, può beneficare di una franchigia di esenzione.
Ai fini della tassazione del reddito prodotto all’estero, preliminarmente, dobbiamo considerare il principio generale della residenza fiscale che è quello sancito, nella normativa italiana, dall’art. 3 del TUIR (DPR 917/1986) il quale precisa: “L’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell’art. 10, e per i non residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello stato”.
Non assume invece rilevanza, ai fini della tassazione, la nazionalità di un soggetto, il luogo in cui è sorto il rapporto di lavoro, la residenza del datore di lavoro o il luogo in cui è pagato il corrispettivo.
La residenza dipende da un aspetto formale quale l’iscrizione nell’anagrafe di uno stato, mentre in caso di cancellazione dalla stessa ed iscrizione all’AIRE (Associazione Italiani residenti all’estero), va verificato il concetto di residenza ai sensi del codice civile quando è mantenuta la sede dei propri affari ed interessi morali, affettivi, personali (domicilio) o il fatto di dimorare abitualmente nello stato. È sufficiente che anche solo una delle condizioni menzionate (domicilio e dimora abituale) si verifichi per essere considerati comunque residenti in Italia.
La disciplina fiscale del rapporto di lavoro prestato all’estero ha origine interna e convenzionale. Sono rilevanti sia le norme contenute nel TUIR sia le Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia, la maggioranza delle quali ricalcano il modello OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico – altrimenti OECD).
Le disposizioni previste nelle convenzioni internazionali sono norme speciali rispetto alle norme interne e di conseguenza prevalgono su eventuali disposizioni di legge di contenuto diverso, anche se successive, a meno di specifiche deroghe come in particolare quella prevista dall’art. 169 del TUIR che prevede la possibilità di non attenersi alle disposizioni di origine convenzionale qualora l’applicazione delle regole nazionali risulti più favorevole per il contribuente secondo il generale principio di salvaguardia.
Il reddito da lavoro dipendente estero segue le stesse regole del lavoro interno dettate dall’articolo 51, commi da 1 a 8 del TUIR, ed è costituito da tutte le somme ed i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di prestazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro ….2 (art. 51, 1° c.), salvo l’importante deroga prevista dall’art. 8-bis, il quale prevede che “il reddito di lavoro dipendente prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di 12 mesi soggiornano nello stato estero, per un periodo superiore a 183 gg., è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il Decreto del Ministero del Lavoro.”
I casi più frequenti riguardano dirigenti d’azienda distaccati dall’impresa italiana presso la consociata estera per un periodo superiore a 183 gg. l’anno. In questo caso la società italiana predispone il modello CUD del lavoratore provvedendo a calcolare le imposte sulla base della retribuzione convenzionale. Il sostituto terrà anche conto del reddito effettivamente percepito dal lavoratore all’estero calcolando il credito d’imposta spettante che andrà già a compensare con le ritenute dovute. I dati utili per ricostruire la posizione fiscale del dipendente sono poi riportati nelle annotazioni al modello CUD.
Il caso meno frequente è quello del lavoratore assunto direttamente all’estero il quale, sulla base del reddito percepito e delle imposte definitivamente ivi pagate, dovrà predisporre la dichiarazione dei redditi in Italia.
È tuttavia sempre riconosciuta la possibilità di detrarre il credito spettante per le imposte pagate a titolo definitivo all’estero sulla base delle regole dettate dall’art. 165 del TUIR. In particolare al 1° c., è previsto che sia ammessa in detrazione dall’imposta netta dovuta una quota d’imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero ed il reddito complessivo al netto delle perdite di precedenti periodi d’imposta ed al fine dell’individuazione di tale limite si deve tener conto anche del credito già utilizzato nelle precedenti dichiarazioni, riferito allo stesso anno di produzione del reddito.
Un altro limite è stabilito dal 10° c. dello stesso art. 165, ovvero nel caso in cui il reddito prodotto all’estero concorra parzialmente alla formazione del reddito complessivo, anche l’imposta estera va ridotta in misura corrispondente.
Va inoltre precisato che il credito d’imposta spetta solo quando l’imposta estera risulti pagata a titolo definitivo entro i termini di presentazione della dichiarazione dei redditi riferita ai redditi oggetto di dichiarazione; diversamente sarà possibile beneficiare del credito d’imposta nei periodi successivi in cui la stessa risulterà pagata a titolo definitivo. A questo riguardo, se l’imposta estera non è precisata nelle annotazioni al modello CUD o in assenza di tale modello, ai fini del riconoscimento del credito d’imposta estero è opportuno presentare una certificazione rilasciata dalle autorità fiscali dello stato estero dell’avvenuto pagamento dell’imposta a titolo definitivo.
È possibile anche riportare in un anno successivo il credito d’imposta già utilizzato precedentemente specificando eventualmente quello riferito a ciascun diverso stato.
La norma interna deve poi essere completata con quella convenzionale prevista in genere dall’art. 15 del modello OCSE che distingue la potestà impositiva dei due stati contraenti prevedendo che:
- i redditi derivanti da prestazioni di lavoro svolte da un soggetto residente in uno Stato all’interno del medesimo stato possono essere soggetti a tassazione solo in detto stato
- se un soggetto fiscalmente residente in uno Stato svolge la prestazione in un altro stato, questi può essere tassato in quest’ultimo stato;
- in deroga a quanto sopra enunciato la prestazione svolta in uno stato diverso da quello di residenza fiscale sarà comunque imponibile solo nello Stato in cui il lavoratore risiede a condizione che:
- la permanenza nello stato estero non ecceda 183 gg. nell’arco di 12 mesi a partire dall’inizio o dalla fine del periodo d’imposta relativo;
- la remunerazione non sia corrisposta da, o per conto di, un datore di lavoro residente nello stato in cui si svolge la prestazione;
- l’onere delle retribuzioni non sia sostenuto da una stabile organizzazione del datore di lavoro nello stato della fonte.
Ne consegue ad esempio che, se un lavoratore fiscalmente residente in Italia si trovi in Francia per motivi di lavoro per meno di 183 gg., non potrà essere soggetto a tassazione in quel paese e resterà soggetto solo agli obblighi tributari italiani.
Al contrario, la possibilità di tassare il non residente nel paese in cui viene svolta la prestazione di lavoro dipende dalla lunghezza della permanenza del lavoratore nel paese (almeno 183 gg.) o alternativamente dal fatto che il soggetto che corrisponde le remunerazioni, o ne sostiene gli oneri, sia ivi residente o vi abbia una stabile organizzazione.
La previsione si spiega col fatto che se il datore di lavoro può dedurre i costi relativi al personale nel paese in cui il lavoratore opera, si renderà opportuna la tassazione del lavoratore in tale stato. Non è per altro infrequente che un sostituto estero, anche quando non lo preveda la convenzione, assoggetti a ritenuta il reddito del non residente.
In quest’ultimo caso, se i redditi hanno subito un prelievo fiscale anche nello stato estero, il contribuente, residente nel nostro paese, non ha diritto al credito d’imposta, ma al rimborso delle imposte pagate nello stato estero. Il rimborso andrà chiesto all’autorità estera competente in base alle procedure da questa stabilite.
Con riferimento ai lavoratori transfrontalieri ovvero coloro che varcano abitualmente il confine per recarsi nel luogo di lavoro ma dimorano in Italia, i redditi conseguiti nell’anno 2012 concorreranno alla formazione dell’imponibile IRPEF per la parte che eccede l’importo di euro 6.700,00.
Operativamente l’importo del reddito che dovrà essere indicato nel quadro C del modello 730, rigo C1, è quello effettivamente percepito al lordo anche della soglia di esenzione distintamente indicata nelle annotazioni al modello CUD.
Gianluigi Degan – Centro Studi CGN