Il contratto collettivo, stipulato da un lato dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dall’altro dalle associazioni dei datori di lavoro, riveste un ruolo di importanza centrale nel dettare la disciplina dei rapporti di lavoro. Ne riepiloghiamo le caratteristiche principali.
Il contratto collettivo di diritto comune si suddivide essenzialmente in due parti, una economica, volta a regolare gli istituti aventi natura retributiva e l’altra, detta normativa, che disciplina gli altri aspetti del rapporto di lavoro.
In quanto atto di natura privatistica, la sua efficacia soggettiva non può che essere obbligatoria, ossia si applica ai quei datori ed ai lavoratori aderenti alle organizzazioni sindacali stipulanti, ovvero a coloro che diano applicazione fattuale allo stesso.
Riguardo invece all’individuazione del contratto collettivo applicabile, l’art. 2070, comma 1, c.c. fa riferimento alla natura dell’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore; questo tuttavia osta con la natura privatistica dell’istituto in questione, per cui la scelta di quale contratto applicare è rimessa alla volontà delle parti contraenti.
A partire dal Protocollo 23 luglio 1993 si è dato inizio ad un percorso caratterizzato dalla presenza di due livelli di contrattazione, uno nazionale di categoria e l’altro, integrativo, territoriale o aziendale (di secondo livello). In tale direzione si è inserito l’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011, sottoscritto da CIGL, CISL, UIL, e CONFINDUSTRIA, con l’obiettivo di favorire lo sviluppo e la diffusione della contrattazione collettiva di secondo livello. Indirizzo seguito anche dal legislatore con il D.l. 138/2011, art. 8, il quale stabilisce che, fermo restando il rispetto della Costituzione ed i vincoli derivanti dalla normativa comunitaria e dalle convenzioni internazionali, i contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale possono realizzare specifiche intese anche in deroga alle disposizioni di legge e di regolamentazioni contenute nei contratti collettivi di lavoro. Tali intese devono essere realizzate attraverso la stipula, a livello territoriale o aziendale, di contratti collettivi da parte delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze presenti in azienda.
Può risultare di interesse evidenziare due aspetti delle intese in discorso:
- le loro finalità
- le materie che possono riguardare.
Con riguardo al primo punto, le intese sono “finalizzate alla:
- maggiore occupazione,
- qualità dei contratti di lavoro,
- adozione di forme di partecipazione dei lavoratori,
- emersione del lavoro irregolare,
- incrementi di competitività e di salario,
- gestione delle crisi aziendali e occupazionali,
- investimenti
- all’avvio di nuove attività“.
Sono espressamente elencate al comma 2, art. 8 le materie regolabili, che sono invece relative:
- agli impianti audiovisivi e all’introduzione di nuove tecnologie;
- alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale;
- ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro;
- alla disciplina dell’orario di lavoro;
- alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio e il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio.
Stefano Carotti – Centro Studi CGN