Cosa si intende per demansionamento? In quali casi si può verificare? Quando è ammesso dalla normativa e quando invece no? Ecco un’analisi in cinque punti per rispondere a tutte queste domane.
Il corretto inquadramento del lavoratore
L’art. 2103 c.c. è la norma che detta i principi fondamentali in materia di inquadramento del lavoratore ed assegnazione delle mansioni cui questi è destinato.
In effetti, ai sensi dell’art. 2103 c.c.
“il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta, e l’assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi. Egli non può essere trasferito da una unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Ogni patto contrario è nullo.”
Il datore di lavoro, in fase di costituzione del rapporto di lavoro, deve quindi operare nel rispetto del c.d. principio della contrattualità delle mansioni, secondo il quale il corretto inquadramento del lavoratore (assegnazione della qualifica e della categoria) è basato sui contenuti delle mansioni e quindi sull’attività lavorativa, a cui il prestatore viene effettivamente adibito.
Il lavoratore, secondo il citato dettato codicistico, deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, ovvero a mansioni “diverse” da quelle inizialmente pattuite in sede di stipula del contratto individuale di lavoro.
In particolare, secondo quanto previsto dal 1° comma dell’art. 2013 c.c., il datore di lavoro può assegnare al lavoratore mansioni superiori ovvero equivalenti a quelle attribuite in sede di stipula del contratto individuale di lavoro fatta salva, in quest’ultimo specifico caso, l’immutabilità del trattamento economico, nel rispetto del c.d. principio della irriducibilità della retribuzione.
II divieto di assegnazione a mansioni inferiori
La legge vieta pertanto l’assegnazione del lavoratore a mansioni inferiori a quelle inizialmente previste in sede di assunzione, anche se in presenza del consenso del lavoratore stesso.
Quali mansioni sono considerate di livello “inferiore”?
Sono considerate inferiori quelle attività riconducibili ad una qualifica o ad un livello di inquadramento più basso di quello corrispondente alle mansioni dedotte nel contratto di assunzione o che, in ogni caso, comportino un “impoverimento” della professionalità del lavoratore.
Il datore di lavoro mette in atto una dequalificazione qualora le nuove mansioni affidate al lavoratore (in via continuativa e prevalente), oltre alla declaratoria prevista dalla contrattazione collettiva di riferimento, non permettano l’utilizzo, nello svolgimento della prestazione lavorativa, delle conoscenze tecniche e delle capacità professionali acquisite.
In tal caso si potrebbe configurare il “demansionamento”, che è considerato una delle più diffuse forme di manifestazione del fenomeno mobbing all’interno dell’ambiente di lavoro.
Tuttavia, non sempre l’esercizio dello ius variandi in peius costituisce automaticamente una violazione della norma vigente in materia e, quindi, dequalificazione professionale.
I casi in deroga: il demansionamento possibile
Infatti, vi sono determinati casi in cui l’adibizione del lavoratore a mansioni inferiori è ammessa; più in particolare:
- per evitare il licenziamento del lavoratore ovvero per evitare il ricorso a sistemi di ammortizzazione sociale quali la Cassa Integrazione Guadagni;
- per impossibilità sopravvenuta (temporanea o permanente, totale o parziale) allo svolgimento dell’attività lavorativa;
- per tutelare la lavoratrice madre in stato di gravidanza laddove svolga attività pericolose e/o che la espongano a sostanze nocive. In tal caso la lavoratrice ha diritto alla conservazione del maggiore trattamento retributivo.
Lo svolgimento di mansioni inferiori può essere ritenuto, altresì, legittimo, qualora al lavoratore vengano assegnati, in via del tutto occasionale, anche compiti marginali e residuali rispetto a quelli normalmente espletati.
Cosa accade in caso di violazione da parte del datore di lavoro?
In caso di violazione del dettato codicistico, il datore di lavoro può essere condannato, ex art. 1453 c.c. e salvo risarcimento del danno, alla reintegrazione del lavoratore demansionato nelle specifiche mansioni che gli erano state assegnate prima dell’illecita dequalificazione.
Stefano Carotti – Centro Studi CGN