Nessuna sentenza è riuscita a confondere così tanto gli operatori come quella della Corte Costituzionale sull’IRAP (n.156/2001), riguardante la soggezione dei lavoratori autonomi al tributo. La sentenza ha dato origine a un infinito contenzioso, con sentenze da parte della Corte di Cassazione tutte “costituzionalmente orientate” ma spesso di segno opposto. La questione ruota attorno al fumoso concetto di autonoma organizzazione, che deve sussistere in capo al lavoratore autonomo affinché scatti il presupposto impositivo IRAP. Ancora una volta, la Corte di Cassazione ha cambiato idea (in senso favorevole per il contribuente) per quanto concerne la debenza del tributo per i professionisti (in particolare i medici) che si avvalgono di un dipendente part-time.
Si pensava che la questione fosse risolta con la sentenza del Collegio di Piazza Cavour a Sezioni Unite che ha avuto modo di affermare: “in tema di IRAP, l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diversa dall’impresa commerciale costituisce, secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata fornita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 156 del 2001, presupposto dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività autonomamente organizzata. Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente che eserciti attività di lavoro autonomo:
a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzate riferibili ad altrui responsabilità e interesse;
b) impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che, […], costituiscono nell’attualità il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività anche in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce onere del contribuente che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta dare la prova dell’assenza delle predette condizioni” (SS.UU. n. 12108 del 2009 e Cass. n. 8556 del 2011).
Sulla scia di tale importante sentenza si era generata un’equazione che portava a riconoscere la sussistenza dell’autonoma organizzazione, e quindi la riconducibilità delle attività professionali nell’ambito applicativo IRAP, ogniqualvolta ci fosse la presenza di personale, anche part time con mansioni di segretariato e persino con funzioni meramente accessorie di pulizia (Cass. 3676/2007 – 5012/2007 – 187472/2008 – 21563/2010 – 11892/2012 e 14034/2012).
Con una serie di sentenze del tutto innovative i Giudici della Suprema Corte si discostano dall’orientamento finora seguito ritenendo che il fatto che un medico dia lavoro a un dipendente part time non implica l’obbligo di assoggettamento ad IRAP. Il piccolo professionista è infatti tenuto al pagamento del tributo solo nel caso in cui la sua organizzazione sia “un elemento potenziatore ai fini della produzione di reddito.” Interessanti le motivazioni che hanno portato i Giudici del Palazzaccio a scardinare l’equazione che addebitava l’IRAP ai professionisti con una segreteria part-time alle dipendenze, in quanto per i medici di base convenzionati con il S.S.N i giudici hanno ritenuto che:
“… la presenza di un solo dipendente part-time addetto allo studio non costituisce di per sé un elemento tale da concretizzare il presupposto di autonoma organizzazione” (Cass. 17755 del 27/06/2013);
“… una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2 del D.Lgs. n. 446/1997 non può non ravvisare l’organizzazione in una capacità produttiva che, pur non essendo necessariamente compiutamente autonoma (nel senso di derivare da strutture autosufficienti), deve pur sempre essere impersonale aggiuntiva rispetto a quella propria del professionista, tale da garantirgli una quota aggiuntiva di profitto.” (Cass. Sentenze n. 22020 e 22022 del 25/9/2013).
Esultano i medici di base per il cambio di rotta della Cassazione, da sempre convinti che l’organizzazione di studio con un unico dipendente con funzioni di segretaria per gli appuntamenti non determini di per sé un potenziamento della capacità produttiva, ma sia invece solo una comodità per i clienti, o un mero costo spesso rimborsato dall’ASL, in quanto il reddito è predeterminato in ragione del numero dei mutuati.
La linea di demarcazione, quindi, si fa sempre più sottile e la valutazione sempre più complessa. Sono gli stessi giudici di legittimità ad ammetterlo convinti, comunque, che non esista alcuna alternativa possibile e che l’interpretazione formulata è quella che conduce a “razionalità costituzionale (ed economica i due profili sono strettamente connessi) l’imposizione”.
Stando così le cose, si può concludere affermando che è soggetto passivo dell’IRAP chi si avvale, nell’esercizio dell’attività di lavoro autonomo, di una struttura organizzata in un complesso di fattori che per numero, importanza e valore economico siano suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al suo know how (si veda Cassazione 30753/11). Il lavoratore autonomo può essere escluso, invece, quando il risultato economico trovi ragione esclusivamente nell’auto-organizzazione del professionista o, in ogni caso, quando l’organizzazione da lui predisposta (in cui si comprende il personale) abbia incidenza marginale e non richieda necessità di coordinamento (si veda la sentenza della Cassazione 13326/13).
Nicolò Cipriani – Centro Studi CGN