Facebook, Youtube, Google, apps, smartphone, tablet: sono solo alcuni dei termini che sentiamo e pronunciamo ogni giorno, leggendo, ascoltando i media, parlando. Fanno parte delle espressioni linguistiche del mondo digitale, una realtà in continuo fermento e costantemente alimentata da repentine e coinvolgenti innovazioni tecnologiche. Per mezzo di queste, enormi flussi di dati e informazioni personali rimbalzano quotidianamente, in frazioni di secondo, da una parte all’altra del pianeta Internet. La domanda è: siamo veramente consapevoli di tutti i vari tipi di trattamento che i nostri dati subiscono? Ci rendiamo sufficientemente conto dell’impatto che tutto ciò comporta – o potrebbe comportare – sulla nostra persona, sulle nostre esistenze e in definitiva sulla nostra vita?
Il recente clamore provocato dal caso “Data Gate” ha in effetti aperto gli occhi a molti riguardo il “potenziale” sottostante ad un trattamento di dati personali; se è vero, da un lato, che alcuni trattamenti sono indispensabili per un regolare funzionamento delle tante e spesso complesse vicende relazionali che ci coinvolgono quotidianamente, d’altro canto sembra di vivere sempre più in un mondo circondato da un articolato e onnipresente “sistema di sorveglianza”: un monitoraggio totale, sotto ogni punto di vista spazio-temporale. Una realtà positiva per certi versi, che richiede tuttavia una consapevolezza di spessore.
In questo articolo cercheremo semplicemente di fornire un assaggio – quindi senza la pretesa di essere esaustivi – riguardante le diverse attenzioni che dovrebbero avere tutti coloro che, spesso con estrema leggerezza, utilizzano i moderni strumenti digitali e che quindi possono potenzialmente essere tanto vittime di trattamenti “selvaggi” dei propri dati personali, quanto esecutori di vere e proprie azioni illegali. Illustreremo alcuni casi, che necessiterebbero comunque di essere ulteriormente approfonditi, utili, tuttavia, per far capire come “conviene” muoversi nel complesso mondo di Internet.
Parliamo innanzitutto di Facebook. Se un utente decide, ad esempio, di scattare una foto in ufficio che ritrae alcuni colleghi e poi la inserisce nel suo profilo, potrebbe rischiare seri provvedimenti disciplinari da parte del datore di lavoro che ne viene a conoscenza; è da valutare, infatti, il contenuto complessivo della foto.
Altro esempio: il datore di lavoro, malgrado non sia un “amico su Facebook” del proprio dipendente, può utilizzare le pagine del profilo di quest’ultimo in giudizio – per un’eventuale causa di lavoro – qualora ne sia riuscito a prenderne visione tramite le pagine di “amici” comuni.
Allargandoci ora oltre i contesti lavorativi, è importante sapere che un utente, che decide di utilizzare una foto pubblicata su Facebook per un blog/sito personale, può farlo esclusivamente in presenza di consenso della persona che ha scattato la foto.
Ancora: se un utente riceve da un ex fidanzata/o un messaggio su WhatsApp offensivo nei suoi confronti, può pubblicarla su Facebook, al fine di mostrarla agli “amici comuni”, esclusivamente in presenza di consenso dell’autore del messaggio.
In tema di scuola e famiglia, se una mamma di uno scolaro elementare è abituata a pubblicare su Facebook foto del proprio figlio che ritraggono anche altri suoi compagni di scuola, le mamme di quest’ultimi possono inviare una diffida alla prima, chiedendo la rimozione delle foto ritraenti i propri figli, nonché riservandosi una denuncia penale per trattamento illecito di dati personali.
Inoltre, qualora in occasione di una gita scolastica, un utente, dopo aver girato un filmato, decida di pubblicarlo su Facebook, lo può fare previo consenso delle persone ritratte oppure avendo cura di oscurare nel filmato volti, targhe di auto e ogni altro elemento riferibile a dati personali.
Altro caso: avvicinandosi alla residenza di una persona famosa e riuscendo in qualche modo a scattare alcune foto all’interno della sua proprietà ove sono presenti amici della stessa persona, si decide poi di pubblicare le stesse su Facebook; un giornalista, vedendo le foto dal profilo, le fa pubblicare dal giornale per cui lavora: in tal caso sia l’utente Facebook che ha scattato le foto, sia il giornalista, sia il direttore del giornale possono essere condannati penalmente per il reato di interferenza illecita nella vita privata, nonché al risarcimento del danno.
Veniamo ora ad un altro importante canale utilizzato sul web, Youtube. È importante sapere, ad esempio, che se si recuperano fotografie trovate su Google riguardanti la propria città, al fine di realizzare un video che rappresenti un tour virtuale nella stessa, per non commettere reato, è necessario chiedere il consenso all’autore delle foto trovate su Google nonché indicare il suo nome nel video realizzato.
Inoltre, se si decide di caricare su Youtube una determinata puntata di una serie televisiva, al fine di condividerla con persone che non hanno potuto vederla, è necessario avere l’autorizzazione dell’emittente televisiva.
Anche nell’utilizzo di dispositivi mobile, come gli smartphone, si possono verificare situazioni critiche: ad esempio, colui/colei che “sbircia” tra gli sms e le mail del proprio coniuge può essere sanzionato penalmente per reato di violazione di corrispondenza e condannato a risarcire il danno.
Si tenga peraltro presente che, per ricevere una condanna fino a 4 anni, è sufficiente essere denunciati dal proprio partner che si accorge di essere in qualche modo “sorvegliato”, grazie ad un software spia installato sul suo smartphone regalatole/gli precedentemente (con il fine, appunto, di controllarla/o).
Ritorniamo agli ambienti on line utilizzati dagli internauti. Se un utente dovesse scrivere frasi offensive in un blog, qualora il proprietario dello stesso sia a conoscenza dei contenuti offensivi, può essere denunciato – insieme all’autore del contenuto – per concorso in diffamazione aggravata.
Ancora, se dopo una lite con un collega di lavoro un utente si iscrive, ad esempio, in una chat erotica, fingendo di essere il collega, e divulga in chat il suo numero telefonico (evidentemente a fini di vendetta), può essere sanzionato penalmente per illecito trattamento dei dati nonché condannato a risarcire i danni.
Infine, se in alternativa a predisporre personalmente la propria tesi di laurea, si decidesse di comprarne una già pubblicata on line – avendo comunque l’accortezza di modificarla opportunamente – le conseguenze possono consistere in una condanna penale e nell’annullamento del titolo di laurea.
Concludendo, e precisando che le succitate casistiche rappresentano solo una piccola parte del complesso di situazioni in cui potrebbe trovarsi un frequentatore del mondo digitale, vale la pena ri-sottolineare l’opportuna attenzione che dovremmo avere tutti nella fruizione dei vari ambienti web e dei dispositivi tecnologici. È sempre bene prestare particolare attenzione alle azioni che si intendono compiere e a quelle compiute dagli altri.
Michele Viel – Centro Studi CGN