Complice la grave crisi economica, il conduttore di un immobile a uso abitativo o commerciale si trova spesso in difficoltà perché non riesce a pagare il canone locativo. La morosità dell’inquilino ha riflessi negativi anche sul proprietario dell’immobile, penalizzato sia dalla mancata riscossione dei canoni che dalle regole fiscali che impongono la tassazione dei canoni locativi a prescindere dall’effettiva percezione. Esaminiamo i casi e i possibili rimedi da adottare per evitare di versare imposte su canoni non riscossi, alla luce delle più interessanti sentenze della giurisprudenza di merito e di legittimità.
Secondo l’art. 26 del TUIR, i redditi fondiari, relativi a immobili tenuti a disposizione o concessi in locazione, concorrono a formare il reddito complessivo indipendentemente dalla percezione, in deroga al principio generale che assoggetta a tassazione i redditi delle persone fisiche nell’anno in cui avviene la materiale percezione (principio di cassa).
Lo stesso articolo 26 del TUIR stempera gli effetti della norma prevedendo l’esclusione dei canoni non riscossi dal reddito complessivo in presenza delle seguenti condizioni:
- l’immobile risulta locato a uso abitativo;
- il conduttore dell’immobile risulta moroso rispetto ai canoni locativi;
- si è concluso il procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto.
La contestuale sussistenza di tali condizioni legittima il proprietario a non dichiarare il reddito fondiario relativo ai canoni non riscossi, consentendogli di indicare esclusivamente la rendita catastale, purché il provvedimento di convalida di sfratto arrivi prima della presentazione della dichiarazione dei redditi.
Nel caso in cui il provvedimento di convalida di sfratto si concluda dopo il termine ultimo per la presentazione della dichiarazione dei redditi, costringendo il contribuente a dichiarare i canoni non riscossi nonché a versare le relative imposte, quest’ultimo ha la possibilità, in occasione della prima dichiarazione dei redditi utile e comunque entro il termine di prescrizione decennale, di determinare un credito d’imposta in ragione delle imposte versate sui canoni non riscossi.
Il credito d’imposta può essere utilizzato in compensazione con altre imposte a debito oppure chiesto a rimborso.
Un ulteriore caso particolare si verifica quando il contribuente ha fruito del credito d’imposta per i canoni non riscossi, e successivamente tali canoni vengono riscossi, anche parzialmente. In tal caso è necessario dichiarare i canoni tra i redditi assoggettati a tassazione separata.
Il locatore che concede in locazione un immobile commerciale (locali commerciali, capannoni) non gode delle medesime tutele, dovendo versare le imposte sui canoni non riscossi anche se il procedimento di convalida di sfratto si è concluso.
L’evidente discriminazione tra locatori che affittano per finalità abitativa e quelli che locano per finalità commerciale è stata colmata da un’importante sentenza della Corte Costituzionale (n. 326 del 26 luglio 2000) con la quale viene stabilito:
- I canoni di locazione sono tassati, a prescindere dalla loro percezione, fino a quando risulta vigente un contratto di locazione e quindi risulta tecnicamente dovuto un canone locativo;
- Si potrà evitare la tassazione, quando la locazione è cessata oppure si è verificata una qualsiasi causa di risoluzione contrattuale (per inadempimento, per specifica clausola risolutiva espressa), con dichiarazione da parte del proprietario di avvalersene, provocando lo scioglimento delle reciproche obbligazioni e l’insorgenza del diritto alla restituzione dell’immobile.
Secondo il giudice delle leggi, la morosità del locatario, in presenza della specifica clausola che risolve il contratto al verificarsi dell’inadempimento, con la successiva dichiarazione da parte proprietario al conduttore di avvalersi della clausola, legittima il locatore a non dichiarare i canoni non riscossi senza necessariamente attendere una pronuncia giudiziale.
Il pronunciamento della Corte Costituzionale non distingue gli immobili locati per uso commerciale da quelli locati per uso abitativo. Di conseguenza la risoluzione contrattuale di un contratto di locazione legittima anche il locatore dell’immobile abitativo a non dichiarare i canoni non riscossi. Il provvedimento di convalida di sfratto, nell’ottica delle sentenza in esame, oltre agli effetti di natura civilistica, rappresenta il presupposto giuridico per l’ottenimento del credito d’imposta nel caso in cui il locatore abbia versato imposte per canoni non riscossi.
I principi giuridici appena esaminati sono stati più volte confermati dalla Corte di Cassazione con le sentenze n. 11158/2013, 22588/2013, 651/2012, con le quali è stata sancita la tassabilità dei canoni di locazione (a uso abitativo e commerciale) non riscossi per morosità del conduttore fino al momento della risoluzione contrattuale anche non giudiziale.
Va segnalato il caso in cui il conduttore, una volta risolto il contratto, e messo in mora rispetto alla restituzione dell’immobile, non ottemperi all’obbligo di riconsegna dell’immobile. Gli eventuali importi versati dal conduttore, in sede transattiva o in sede di condanna da parte del giudice, non assumono rilevanza reddituale in quanto rappresentano un indennizzo di natura risarcitoria per l’occupazione, fuori dal campo di applicazione dell’art. 6 del TUIR.
La risoluzione anticipata del contratto deve essere comunicata all’anagrafe tributaria mediante modello RLI:
- per via telematica (software client – contratti di locazione, sito Agenzia Entrate),
- per consegna diretta all’ufficio dove è stato registrato i contratto di locazione.
È necessario versare l’imposta di registro pari a euro 67 con codice tributo 113T, mediante F23 (o F24).
Il pagamento dell’imposta di registro per l’intera durata del contratto legittima il contribuente a richiedere il rimborso per le annualità successive alla risoluzione.
L’imposta di registro non è dovuta se si è optato per il regime della cedolare secca. Unico obbligo in questo caso è rappresentato dalla comunicazione di avvenuta risoluzione da effettuare entro 30 giorni presso l’Ufficio dove è stato registrato il contratto.
Nicolò Cipriani – Centro Studi CGN