Dal 30 giugno per le imprese e i professionisti scatta l’obbligo di accettare anche i pagamenti effettuati attraverso i bancomat (carte di debito). Protestano gli organismi di rappresentanza dei soggetti interessati, che lamentano gli alti costi tra spese di gestione e commissioni bancarie, rivolgendosi al TAR con una richiesta di sospensiva, e rifugiandosi dietro lo schermo normativo che non prevede una sanzione specifica per la mancata adozione del POS.
La novità introdotta dal cd Decreto Sviluppo bis così recita: “A decorrere dal 30 giugno 2014, i soggetti che effettuano l’attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, sono tenuti ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito. Sono in ogni caso fatte salve le disposizioni del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231″ (art. 15 comma 4 D.L. 18 ottobre 2012, n. 179).
Il primo attacco è stato condotto dal Consiglio Nazionale degli Architetti che si è rivolto al TAR Lazio chiedendo la sospensiva in quanto (secondo loro) si tratta di una norma insensatamente vessatoria e costosa. Il suo scopo primario (quello di contrastare elusione ed evasione), infatti, può essere raggiunto attraverso pagamenti tracciati (bonifico o assegni), senza obbligare i professionisti ad attivare POS costosi da installare e utilizzare, anche per il divieto di richiedere un sovraprezzo legato all’utilizzo di un determinato strumento di pagamento (cfr ex art. 15, comma 5-quater D.L. 179/2012).
Il TAR, con ordinanza 1932/2014 del 30/04/2014, si è espresso in senso sfavorevole per la parte istante ritenendo inesistente il “fumus boni juris” in quanto il decreto impugnato “sembra rispettare i limiti contenutistici e i criteri direttivi fissati dalla richiamata fonte legislativa che impone perentoriamente e in modo generalizzato che a decorrere dal 30 giugno 2014, i soggetti che effettuano l’attività di vendita di prodotti e di prestazioni di servizi, anche professionali, sono tenuti ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito”. La norma, inoltre, prosegue il TAR, non viola alcun parametro di legittimità né evidenzia eccessi di potere tali da giustificare la sua sospensione in via cautelare. Semmai, evidenzia solo un costo economico di certo non irreparabile (..sic!).
Sull’argomento è intervenuto il Consiglio Nazionale Forense, con la circolare n. 10-C-2014 del 20/05/2014, chiarendo che il decreto sviluppo “non stabilisce affatto che tutti i professionisti debbano dotarsi di POS, né che tutti i pagamenti indirizzati agli avvocati dovranno essere effettuati in questo modo a partire dalla data indicata, ma solo che, nel caso il cliente voglia pagare con una carta di debito, il professionista sia tenuto ad accettare tale forma di pagamento”.
Con la conseguenza che, “qualora il cliente dovesse effettivamente richiedere di effettuare il pagamento tramite carta di debito, e l’avvocato ne fosse sprovvisto, si determinerebbe semplicemente la fattispecie della mora del creditore, che, come noto, non libera il debitore dall’obbligazione. Nessuna sanzione è infatti prevista in caso di rifiuto di accettare il pagamento tramite carta di debito”.
Dunque, secondo il CNF, non sussiste alcun obbligo assoluto di “possedere un POS”, trattandosi invece di un onere (non sanzionato) di accettare, a richiesta, tale forma di pagamento.
Anche la Fondazione Studi dei consulenti del lavoro (circ. n. 12/2014 del 29/5/2014) ritiene inesistente l’obbligo giuridico di munirsi di POS, trattandosi di un onere da cui non deriva alcuna sanzione in capo al professionista, determinandosi (come già affermato dal CNF) la fattispecie della mora del creditore.
Le associazioni di categoria degli artigiani e commercianti denunciano invece difficoltà legate alla scarsa educazione informatica e all’anti-economicità dello strumento, oltre al fatto che si tratterebbe di un “regalo alle banche”, perché sarebbero le uniche a trarre realmente un guadagno dalla diffusione della carta di debito visti i costi di installazione e gestione che il POS richiede.
Tutti sostengono che la mancanza di una sanzione specifica rende non obbligatoria l’installazione del POS. Tutti sembrano condividere il fatto che la diffusione della moneta elettronica riduca il rischio di evasione e l’utilizzo del “nero”. La denuncia circa i costi dell’operazione POS è altrettanto fondata e offusca i vantaggi derivanti dalla sicurezza della moneta elettronica rispetto al denaro contante.
Tutti aspettano il 26 giugno per verificare il secondo regolamento ministeriale che potrebbe prevedere un’entrata in vigore graduale, escludere alcune categorie (ponendo limiti di fatturato o per tipologia di clientela) e consentire altre modalità di pagamento, sempre tracciabili, come la carta di credito.
In assenza di ulteriori novità, il 30 giugno la norma entrerà in vigore così com’è, prevedendo un obbligo senza sanzioni.
Volendo esprimere un personalissimo parere, affinché il vivace dibattito in corso sull’argomento non appaia una battaglia di retroguardia condotta da organismi di rappresentanza refrattari alle novità, vedrei con favore la promozione di un’azione culturale in favore della modernità, che in questo caso si declina nella pluralità dei sistemi di pagamento di natura elettronica. Vale la pena sottolineare che, nei paesi più avanzati, con un sistema bancario che vede i diversi attori in effettiva concorrenza tra loro, i costi di gestione, da un conto corrente fino alla gestione del POS, sono significativamente più bassi rispetto ai costi proposti dalle banche italiane. Tutto ciò tenendo presente che altrove il POS è ormai superato dalle nuove tecnologie che permettono di pagare tramite smartphon e senza costi aggiuntivi.
Nicolò Cipriani – Centro Studi CGN