La disciplina del contratto a termine è stata radicalmente modificata al fine di favorire il rilancio dell’occupazione e la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese. La riforma, entrata in vigore il 21 marzo 2014, data successiva alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del D.L. 34/2014 (c.d. Jobs Act), riguarda vari aspetti mirati a facilitare il ricorso a tale tipologia contrattuale. Vediamoli in dettaglio anche alla luce delle attese indicazioni operative pervenute con la circolare del Ministero del Lavoro n.18/14 del 30 luglio scorso.
1) Acausalità: viene previsto che il contratto di lavoro venga stipulato senza l’obbligo di specificare le ragioni giustificatrici del contratto stesso, imponendone quindi la generale acausalità. Quindi le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo obbligatorie per apporre un termine al contratto di lavoro previste dall’art.1 del D.Lgs. 368/2001 ante riforma e oggetto di criticità e contenzioso vengono completamente abolite. Viene inoltre previsto che il contratto acausale non venga più limitato al primo contratto a termine, la cui durata, comprensiva della proroga, era di 12 mesi nella precedente formulazione. Per ragioni di “trasparenza” (così recita la circolare Ministeriale) e solo limitamente al caso di assunzioni che manifestino i caratteri di sostituzione o stagionalità appare opportuno comunque che i datori di lavoro continuino a far risultare nel contratto stesso la ragione che ha portato alla stipula dello stesso a tempo determinato.
2) Durata: il nuovo art.1 D.Lgs. 368/2001, come modificato dal decreto “lavoro”, afferma che il contratto a termine può essere stipulato per iscritto per un massimo di trentasei mesi, comprensivi di eventuali proroghe e per qualunque tipo di mansione. La circolare ministeriale n. 18/14 ribadisce tale concetto ricordando, inoltre, che per la legittima instaurazione del rapporto l’indicazione del termine nell’atto scritto può risultare direttamente o indirettamente.
3) Limiti quantitativi: viene previsto che il numero complessivo di rapporti di lavoro a termine stipulati da ciascun datore di lavoro non può superare il limite del 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione. Per i datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti è sempre possibile invece stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato. Resta comunque ferma la possibilità per i contratti collettivi nazionali di lavoro, stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, di individuare limiti quantitativi diversi per il ricorso ai contratti di lavoro a termine ma anche di stabilire uno specifico criterio di computo diverso da quello legale (per esempio facendo riferimento al totale dei lavoratori mediamente occupati in un determinato arco temporale).
Va inoltre precisato che il limite del 20% non è applicabile ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati dagli enti di ricerca, pubblici e privati e dai lavoratori chiamati a svolgere in via esclusiva attività di ricerca scientifica o tecnologica, di assistenza tecnica alla stessa o di coordinamento e direzione della stessa. Per i ricercatori inoltre il rapporto di lavoro potrà superare i 36 mesi di durata per consentire il compimento del progetto di ricerca in funzione del quale sono stati assunti.
Così come precisa la circolare Ministeriale, non concorrono al raggiungimento del 20% i lavoratori accessori, quelli intermittenti privi di indennità di disponibilità, i parasubordinati, i lavoratori autonomi, gli associati in partecipazione. Nella base di computo rientrano tuttavia i lavoratori part-time, in proporzione dell’orario svolto, i dirigenti e gli apprendisti. Inoltre la verifica del numero dei lavoratori a tempo indeterminato andrà fatta in relazione al totale dei lavoratori complessivamente in forza (ad esclusione delle tipologie sopra menzionate) a prescindere dall’unità produttiva in cui sono occupati i dipendenti o in cui si deve assumere.
Il superamento del limite comporta una sanzione amministrativa pari al 20% e al 50% della retribuzione per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero di lavoratori assunti in violazione del limite è, rispettivamente, inferiore o superiore a uno.
4) Diritto di precedenza: in relazione al diritto di precedenza previsto in favore del lavoratore a termine che abbia prestato attività lavorativa per un periodo superiore a 6 mesi, per le assunzioni a tempo indeterminato (ed in relazione alle medesime mansioni oggetto del contratto a termine) nella stessa azienda entro i successivi 12 mesi, viene riconosciuto che per le lavoratrici il congedo obbligatorio di maternità, intervenuto nell’esecuzione di un precedente contratto a termine, concorra a determinare il periodo complessivo di prestazione lavorativa utile al diritto di precedenza.
Si prevede, altresì, che il diritto di precedenza valga non solo per le assunzioni con contratti a tempo indeterminato (come già previsto dalla normativa vigente), ma anche per le assunzioni a tempo determinato effettuate dal medesimo datore di lavoro.
Infine, si stabilisce che il datore di lavoro ha l’obbligo di richiamare espressamente il diritto di precedenza del lavoratore nell’atto scritto con cui viene fissato il termine del contratto.
5) Proroghe e rinnovi: nell’ambito dei 36 mesi complessivi del contratto a termine sono ammesse proroghe fino ad un massimo di 5 volte, indipendentemente dal numero dei rinnovi e a condizione che si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato. All’opposto, qualora il nuovo contratto a termine non preveda lo svolgimento di “mansioni equivalenti” non si dovrà tener conto delle precedenti ed eventuali proroghe. Si ritiene inoltre che al momento di ciascuna proroga deve essere rispettato il limite percentuale del 20% rispetto ai lavoratori subordinati a tempo indeterminato (rispettando le ulteriori condizioni sopra riportate).
Fabrizio Tortelotti