È possibile trasformare la società di capitali unipersonale in impresa individuale? Vediamo quali sono gli orientamenti giurisprudenziali al riguardo e qual è il parere del Consiglio del Notariato.
Dopo il D.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 (“Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366”), la qualificazione normativa del passaggio da società di capitali a comunione d’azienda e viceversa come trasformazione societaria, viene interpretata, da una parte consistente della dottrina, come un implicito riconoscimento della possibilità di trasformare la società di capitali unipersonale in impresa individuale, in forza del ricorso alla applicazione analogica della norma.
Ma analizziamo più nel dettaglio il contenuto di questa interpretazione normativa. Essa costituisce una prova del fatto che il principio di continuità dei rapporti giuridici (art. 2498 Cod. Civ.), che caratterizza la trasformazione, può esplicare i propri effetti anche solo con riferimento ai beni che formano oggetto del complesso aziendale, e non anche ai soggetti titolari dello stesso, rispetto ai quali è consentita un’alterazione dell’identità soggettiva.
Tale principio consiste nel vantaggio che ne deriverebbe al titolare dell’impresa individuale di continuare a gestire la medesima impresa senza essere costretto a liquidare preventivamente i rapporti giuridici ad essa afferenti, per poi procedere alla loro ricostituzione, probabilmente in termini identici, procedimento che risulterebbe altrimenti necessario al fine di riprendere la medesima attività in precedenza esercitata in forma societaria.
D’altro lato, la giurisprudenza non sempre è favorevole a questa interpretazione, sulla base di alcune osservazioni:
- Eccezionalità della trasformazione;
- Plurisoggettività e separazione patrimoniale;
- Procedimento di liquidazione inderogabile;
- Violazione del diritto di opposizione dei creditori;
Il Consiglio del Notariato, nella nota 545-2014, replica così: il legislatore non dà una definizione di trasformazione e, pertanto, in assenza di un’apposita nozione, dovrebbero essere suscettibili di rientrare nella disciplina della trasformazione anche le imprese individuali (mancanza di eccezionalità della trasformazione), poiché le loro peculiari caratteristiche, rinvenibili tanto nell’assenza di separazione patrimoniale, quanto nell’unisoggettività, siano presenti anche in altre delle tipologie espressamente ammesse alla trasformazione, quali, da un lato, la comunione d’azienda e, dall’altro, le società unipersonali.
Quanto, poi, alla presunta inderogabilità del procedimento di liquidazione delle società, è proprio la disciplina della trasformazione a stabilire i casi nei quali esso non occorra, individuando altresì i meccanismi di tutela dei terzi idonei a sopperire all’assenza della liquidazione.
Laddove, infatti, la trasformazione implica una modifica della causa del contratto (è il caso del passaggio tra società di persone o di capitali, da un lato, e i consorzi, società consortili, cooperative, enti del Libro I Cod. Civ., dall’altro), oppure la cessazione dell’attività d’impresa senza l’instaurarsi di una procedura di liquidazione dei creditori (è il caso del passaggio da società in comunione d’azienda), il rimedio posto a tutela dell’interesse dei creditori è quello dell’opposizione ex art. 2500-novies, Cod. Civ. Sembra opportuno segnalare come l’acquisto della responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali (art. 2500-septies, co.2, Cod. Civ.) anteriori alla trasformazione costituisca un efficace strumento alternativo rispetto alla liquidazione, ai fini della tutela dei creditori, laddove si consideri che l’art. 2495, comma 2, c.c., per l’ipotesi di scioglimento e cancellazione della società prevede che i creditori sociali non soddisfatti nella liquidazione “possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione”.
Infine, deve ritenersi che l’atto di trasformazione non sia soggetto a trascrizione, mentre è previsto l’obbligo della volturazione catastale. La trasformazione da società in impresa individuale risulta comunque evidenziata nel Registro delle imprese; di conseguenza il duplice riscontro dei registri immobiliari e di quello delle imprese consentirebbe di risalire dal soggetto a favore del quale è trascritto l’ultimo acquisto del bene (la società) all’attuale forma che esso riveste (l’imprenditore individuale).
Sul tema resta quindi un contrasto di opinioni tra giurisprudenza e dottrina che, a mio parere, porterà presto ad una presa di posizione importante da parte del legislatore. Ad ogni modo ritengo che la trasformazione da società di capitali unipersonali a imprese individuali possa essere una valida soluzione, in particolare in tempo di crisi economica, per tutti quegli imprenditori che scelgono di continuare a svolgere l’attività, senza dover liquidare tutti i beni aziendali e rimetterci con il proprio patrimonio. Allo stesso tempo però rappresenta anche un rischio per l’imprenditore se invece dell’analogia non viene adottata una disciplina ad hoc.
Giorgia Martin – Centro Studi CGN