Come noto fusioni e conferimenti d’azienda, in società già costituite, convergono verso l’obiettivo della concentrazione tra più sistemi d’impresa. Esistono peraltro anche peculiarità proprie di ciascun istituto. Vediamo quali sono.
Innanzitutto la conferente può assumere forma di impresa individuale, mentre sia la fusione per unione in un nuovo organismo che quella per incorporazione (simile allo schema dell’apporto in conferitaria già esistente) sono state concepite per i soggetti economici collettivi (società, enti vari, ecc.), in numero anche superiore a due.
Il conferimento, poi, contempla il trasferimento anche solo di una divisione, mentre la fusione si estende necessariamente all’intera azienda.
Nel primo caso l’obiettivo realizzato può risultare quello dell’articolazione in un inedito gruppo societario fondato sull’assegnazione di titoli al soggetto conferente, in assenza di preesistenti legami partecipativi.
Tale fattispecie sostanzia quindi una disaggregazione del complesso originario.
Nel secondo caso quello viceversa dell’eliminazione dell’anello di un’aggregazione già compiuta in passato, in quanto almeno una società si estingue con attribuzione delle partecipazioni ricevute in concambio ai rispettivi soci.
Naturalmente nulla impedisce di utilizzare sia i conferimenti che le fusioni nell’ambito di un unitario programma di ristrutturazione societaria.
Si pensi alla presenza di due società operative, attive in settori affini o complementari, ciascuna di proprietà del medesimo gruppo familiare, che mirano a creare un unico centro direttivo e immobiliare.
Una soluzione efficace è rappresentata proprio dai due scorpori delle rispettive divisioni operative e dalla successiva fusione delle due holding immobiliari risultanti.
Il prezzo è quindi rappresentato dalle quote o azioni emesse o annullate (se già detenute) dalla conferitaria, dalla new.co risultante dalla fusione per unione e dall’incorporante, salvo in questi ultimi due casi un eventuale conguaglio in denaro nella misura massima del 10% ex articolo 2503-ter del codice civile.
In particolare, nel modello comune delle due operazioni straordinarie in esame si possono individuare due flussi contrapposti di valori.
Per il soggetto che trasferisce l’azienda o il ramo, in entrata una partecipazione o la diminuzione del patrimonio netto in caso di propri titoli in possesso della controparte, in uscita elementi patrimoniali attivi e passivi riepilogati in un capitale netto, da considerare in termini contabili.
Per la società o ente che riceve l’impresa o un compendio parziale, in entrata il suddetto book value, in uscita nuove quote o azioni da consegnare in pagamento o l’annullamento dell’eventuale pacchetto di titoli preesistente.
È evidente che, per ambo le parti, ben difficilmente tali due valori contrapposti potranno coincidere, in quanto l’uno frutto di una valutazione economica dell’azienda e l’altro esito dei saldi di contabilità.
L’interpretazione economica di tali differenze, e la susseguente modalità di rilevazione, in tema di fusioni viene fornita in parte dall’articolo 2504-bis del codice civile, integrato dal principio contabile OIC 4, mentre per i conferimenti l’analogo documento di prassi è ancora in fase di elaborazione.
Per i soggetti che trasferiscono i complessi aziendali l’analisi dovrebbe ricercare soprattutto la motivazione sottesa all’operazione, qualificando componenti di reddito o di patrimonio netto i differenziali che emergono rispettivamente in transazioni di tipo realizzativo o riorganizzativo.
Sotto il profilo fiscale si tratta peraltro di valori neutri, ai sensi dell’articolo 176 comma 1 del Tuir.
Un tema cruciale, specifico dei conferimenti parziali, è rappresentato dall’effettiva natura di impresa del ramo oggetto dell’operazione, dubbio che esula dagli istituti incentrati sull’intero patrimonio.
Infatti qualora il perimetro aziendale esprima un mero insieme di beni e passività slegati da vincoli di complementarietà economica, una conseguenza di tipo civilistico è la mancata applicazione dell’articolo 2560 comma 2 del codice civile, che delimita la responsabilità del cessionario (o conferitario) ai debiti inerenti l’unità acquisita.
Inoltre, sul piano delle imposte indirette si rischierebbe l’assoggettamento ad imposizione con aliquota proporzionale, nella misura prevista per i singoli beni ricompresi, in luogo di quelle fisse di registro ed ipo-catastali.
Occorre allora esaminare in anticipo tale aspetto, confortati dalla sentenza della Corte di Cassazione 30/01/2007 n.19133 che reputa sufficiente ai fini in discorso l’astratta capacità del ramo a svolgere un’attività d’impresa.
Fabio Ceroni e Alessandro Tentoni – Studio Palmeri Commercialisti Associati