Redditometro e investimenti fatti con i risparmi nei conti correnti bancari

Il redditometro è ormai da tempo nei pensieri di tutti, esperti e non. In questo articolo riepiloghiamo le principali novità sugli orientamenti giurisprudenziali relativamente al nesso di causalità tra spesa sostenuta e disponibilità finanziaria, anche alla luce di una recente sentenza della CTR Lombardia.

Il fondamento normativo del redditometro risiede nell’art.38 del D.P.R. n. 600/1973 secondo cui:

“L’ufficio, indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti e dall’articolo 39, può sempre determinare sinteticamente il reddito complessivo del contribuente sulla base delle spese di qualsiasi genere sostenute nel corso del periodo d’imposta, salva la prova che il relativo finanziamento è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d’imposta, o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile. La determinazione sintetica può essere altresì fondata sul contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva individuato mediante l’analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell’area territoriale di appartenenza, con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale con periodicità biennale. In tale caso è fatta salva per il contribuente la prova contraria di cui al quarto comma. La determinazione sintetica del reddito complessivo di cui ai precedenti commi è ammessa a condizione che il reddito complessivo accertabile ecceda di almeno un quinto quello dichiarato.”

Il redditometro è uno strumento che in parte terrorizza e in parte orienta i contribuenti, che non sanno mai fino a che punto possono utilizzare tranquillamente i propri risparmi per l’acquisto di beni mobili e immobili.

Gli aspetti che più di altri destano delle perplessità sono generalmente due: gli acquisti legati alle proprie disponibilità finanziarie e l’erronea attribuzione da parte dell’Amministrazione Finanziaria della proprietà dei beni oggetto dell’accertamento.

Con la fine dell’anno la sentenza 5062/39/2014 della CTR Lombardia ha dato una svolta al redditometro, dando ragione ad un contribuente che si è visto accertare un maggior reddito da parte dell’Agenzia delle Entrate, la cui linea difensiva si è fondata proprio sugli aspetti sopra evidenziati.

La vicenda oggetto della sentenza sopra riportata riguarda l’acquisto di un immobile effettuato nel corso dell’anno d’imposta 2007 che ha fatto scattare il controllo da parte dell’Agenzia delle Entrate. Quest’ultima, sulla base dell’analisi delle spese sostenute, dalle disponibilità finanziarie utilizzate e dal possesso di determinati beni del contribuente, ha applicato il redditometro,  rideterminando il reddito di quest’ultimo soggetto  da circa 15.000 euro a circa 71.000 euro.

I giudici, nel ricorso in primo grado, hanno accolto le ragioni del contribuente.

L’Amministrazione Finanziaria ha deciso di proseguire in appello, sostenendo il difetto di motivazione della sentenza di primo grado e la mancata presentazione dell’onere della prova contraria a carico del contribuente, che secondo loro non aveva compiutamente dimostrato il diretto collegamento tra le spese effettuate e le disponibilità finanziarie contestate.

Ed è con la sentenza in appello che i Giudici di merito, confermando la sentenza di primo grado, hanno rafforzato uno spunto difensivo per quei non pochi contribuenti che si troveranno nella situazione de quo.

Il collegio ha constatato che le disponibilità finanziarie risultanti dal conto corrente del contribuente sono compatibili con l’acquisto dell’immobile, configurando, inoltre, nella contiguità temporale dei movimenti economici (avvenuti negli ultimi mesi dell’anno 2007) il collegamento causale tra spese sostenute e disponibilità finanziarie dismesse.

L’Agenzia delle Entrate, inoltre, aveva attribuito al soggetto beni non di sua proprietà ma di proprietà della moglie e ciò aveva contribuito a determinare la mancanza di fondamento della pretesa impositiva dell’Amministrazione Finanziaria.

Per inciso, pur trattandosi di un anno d’imposta oggetto di applicazione del vecchio redditometro, tali disposizioni potrebbero trovare spunti per ipotesi difensive anche per il nuovo redditometro applicabile dall’anno d’imposta 2009.

Sul punto relativo al nesso di casualità tra spesa sostenuta e disponibilità finanziarie si è pronunciata di recente la Corte di Cassazione con la sentenza n. 6396/2014, precisando che l’art.38 del D.P.R. 600/1973 “non impone affatto la dimostrazione dettagliata dell’impiego delle somme per la produzione degli acquisti o per le spese di incremento, semmai richiedendo al contribuente di vincere la presunzione – semplice o legale che sia – che il reddito dichiarato non sia stato sufficiente per realizzare gli acquisti e gli incrementi. Il che, a ben considerare, significa che nessun’altra prova deve dare la parte contribuente circa l’effettiva destinazione del reddito esente o sottoposto a tassazione separata agli incrementi patrimoniali se non la dimostrazione dell’esistenza di tali redditi”.

Concludendo, in base alla normativa vigente e agli orientamenti giurisprudenziali, l’onere della prova relativo al nesso di casualità tra l’utilizzo delle disponibilità finanziarie effettivamente legate a determinati incrementi patrimoniali e/o a spese sostenute, sembra ormai superato, con la conseguenza che rimane a carico del contribuente l’onere di provare l’esistenza di redditi esenti o già tassati e quindi legittimamente non riportati nella dichiarazione dei redditi.

Lavinia Linguanti