Tra gli elementi che contraddistinguono il rapporto di lavoro subordinato, differenziandolo dal lavoro autonomo e quindi parasubordinato, vi è, in sostanza, quello della subordinazione tecnica e funzionale del lavoratore: questi, infatti, è assoggettato al potere direttivo, organizzativo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro. Cosa significa in concreto?
L’ art. 2094 c.c., a questo proposito, definisce il lavoratore subordinato come colui che “si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’ambito dell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”.
All’interno del sinallagma contrattuale, il dettato codicistico attribuisce al collaboratore così definito due categorie di obblighi: di diligenza e di osservanza, disciplinati dall’art. 2104 c.c., e l’obbligo di fedeltà (art. 2105 c.c.).
Sotto il primo punto di vista, l’obbligazione lavorativa fa sì che il collaboratore debba prestare la sua opera “con la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa [e da quello superiore della produzione nazionale]. Deve inoltre osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende”.
Analizzando il primo e il secondo comma dell’articolo, emergono, rispettivamente, i doveri di diligenza e di osservanza del lavoratore. Relativamente al primo, secondo un prevalente orientamento della dottrina, la diligenza può essere identificata con la perizia riposta dal lavoratore subordinato, nell’esecuzione della prestazione; perizia che alcuni Autori (Cester-Mattarolo) hanno ricondotto all’ “insieme delle conoscenze ed esperienze tecniche di cui il lavoratore deve essere provvisto per poter espletare una data prestazione lavorativa”.
Rispetto all’obbligo di obbedienza/osservanza enunciato nel secondo comma (aspetto, peraltro, frequentemente approfondito, soprattutto nella giurisprudenza formatasi sul punto), lo stesso costituisce, secondo l’orientamento prevalente, l’elemento implicito della condizione di assoggettamento del lavoratore, l’espressione della sua subordinazione rispetto alla prestazione da adempiere: esso fa riferimento alle prescrizioni ed agli ordini impartiti dal datore di lavoro o dai suoi collaboratori, relativamente all’organizzazione del lavoro ed alla disciplina in azienda.
Per quanto attiene l’obbligo di fedeltà, il richiamato art. 2105 stabilisce che “Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”. Per la dottrina prevalente, l’obbligo di fedeltà è stato configurato come il “dovere del lavoratore di fare tutto il possibile, nell’interesse dell’impresa obiettivamente inteso”.
All’inosservanza delle disposizioni contenute negli artt. 2104 e 2105, il codice civile, al successivo art. 2106, rapporta l’applicazione di sanzioni disciplinari “secondo la gravità dell’infrazione”.
Stefano Carotti – Centro Studi CGN