Assegno di mantenimento e separazione: le regole del Fisco

La cessazione del vincolo matrimoniale a seguito di separazione o divorzio porta con sé risvolti di natura fiscale quando un coniuge deve corrispondere all’altro un assegno finalizzato a soddisfarne il mantenimento o il diritto agli alimenti.

La corresponsione dell’assegno di mantenimento comporta:

  • in capo al soggetto erogante il diritto a dedurre dal proprio reddito la somma corrisposta (ex art. 10, comma 1, lett. c) del TUIR);
  • in capo al soggetto beneficiario l’obbligo di indicare la somma riscossa quale componente di reddito riconducibile tra quelli assimilati a lavoro dipendente (ex art. 50, lett. i) TUIR).

La deducibilità dell’assegno di mantenimento è garantita a condizione che:

  • l’ammontare sia stabilito da un provvedimento dell’Autorità Giudiziaria. Ne consegue la non ammissibilità di un accordo stragiudiziale tra le parti;
  • l’erogazione avvenga con cadenza periodica (mensile o plurimensile). Ne deriva che la corresponsione di un assegno unico divorzile, anche se frazionato in rate, non è deducibile né tantomeno assume rilevanza reddituale per il percettore.

Sono deducibili e di conseguenza assumono rilievo reddituale:

  • le somme versate a titolo di adeguamento Istat, a condizione che lo stesso sia specificatamente indicato nella sentenza di separazione (Ris. 448/E/2008). Nel caso in cui la sentenza del giudice non preveda alcun adeguamento automatico dell’assegno dovuto al coniuge, il contribuente tenuto al versamento dell’assegno di mantenimento potrà usufruire della deduzione esclusivamente con riferimento a quest’ultimo importo e non anche con riferimento all’eventuale ulteriore importo erogato a titolo di adeguamento Istat;
  • le somme pagate a titolo di arretrati, anche se versate in un’unica soluzione, costituiscono un’integrazione degli assegni periodici corrisposti in anni precedenti. Secondo il fisco (nota ministero delle Finanze 984/1997) il percettore non potrà assoggettare gli arretrati a tassazione separata.

Il principio contabile da osservare per il riconoscimento della deduzione nonché per la valenza reddituale è quello di cassa. Sotto questo profilo si osserva che il pagamento dell’assegno potrà avvenire in anticipo o successivamente rispetto alle scadenze indicate, oppure raggruppando in un’unica soluzione più rate scadute, senza che ciò possa snaturarne la rilevanza fiscale come onere deducibile e reddito in capo al percipiente.

È stata altresì chiarita:

  • la deducibilità degli assegni periodici corrisposti al coniuge anche se questi risulta residente all’estero, a seguito di separazione legale ed effettiva, di scioglimento od annullamento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso;
  • la deducibilità della sola quota erogata al mantenimento dell’ex coniuge. Di conseguenza non è deducibile la quota di assegno destinata al mantenimento dei figli. Nel caso in cui la sentenza di separazione non preveda alcuna distinzione tra quanto destinato al mantenimento dei figli e quanto all’ex coniuge, l’assegno si considera destinato alla prole per metà del suo ammontare.

Un caso particolare riguarda la possibilità di dedurre l’assegno periodico in caso di cessazione del vincolo matrimoniale qualora venga corrisposto in forma sostituiva dell’ordinario pagamento in denaro.

Ci si riferisce ad esempio:

  • al pagamento delle spese di alloggio in favore del coniuge separato;
  • al pagamento delle rate di mutuo relative all’abitazione già di proprietà comune.

La prima questione è trattata nella circolare n. 17/E/2015 dell’Agenzia delle Entrate, quesito 4.1, rubricato sotto il titolo di “somme corrisposte al coniuge separato per le spese di alloggio”. In tale sede l’Agenzia, richiamando la sentenza n. 13029/2013 della Corte di Cassazione, ammette la deducibilità degli importi a titolo di spese per il canone di locazione e spese condominiali, replicando gli argomenti della Suprema Corte secondo la quale il contributo per la casa è “periodico, e corrisposto al coniuge stesso; inoltre è determinato dal giudice, sia pur ‘per relationem’ a quanto risulta da elementi certi e conoscibili.

La questione del pagamento delle rate di mutuo da parte di un coniuge in favore dell’altro in sostituzione dell’assegno di mantenimento è fattispecie ancora controversa. La posizione dell’Agenzia delle Entrate è  alquanto rigida e viene espressa nella circolare n. 50/E/2000 laddove il beneficio della deduzione viene negato in quanto “… le somme destinate alle rate di mutuo, che non vengono corrisposte al coniuge stesso, bensì direttamente all’istituto mutuante, non sembrano collegate ai medesimi presupposti dell’assegno di mantenimento”.

Di tutt’altro avviso la sentenza della Corte di Cassazione (sentenza n. 6794/2015) che, richiamando le regole civilistiche di cui agli art. 1268 e seguenti, dispone che l’accollo rappresenta una delle modalità di estinzione dell’obbligazione diversa dall’adempimento legittimando il pagamento delle rate di mutuo per l’acquisto dell’abitazione principale in favore del coniuge separato in luogo degli assegni periodici.

Per completezza di argomento, è necessario, ai fini della deduzione, che i versamenti a favore dell’ex coniuge siano giustificati dalle certificazioni di pagamento mensili nonché dalla copia della sentenza di separazione o di divorzio. In sede di dichiarazione dei redditi dovrà essere indicato anche il codice fiscale del coniuge che percepisce tale somma. In caso di somme corrisposte per il “contributo casa” è necessario aggiungere il contratto di locazione con la documentazione da cui risulti l’importo delle spese condominiali nonché la documentazione comprovante i versamenti effettuati.

Nicolò Cipriani – Centro Studi CGN