Dal 24 novembre 2015 sono entrate in vigore le nuove norme, introdotte dal c.d. Decreto Semplificazione, sulle modalità per la cessazione del rapporto di lavoro derivante da dimissioni volontarie e risoluzione consensuale. La normativa, che prevede l’obbligo di comunicare agli enti preposti la cessazione del rapporto solo attraverso appositi moduli telematici disponibili sul sito del Ministero del Lavoro, non si applica tuttavia al lavoro domestico. Cogliamo l’occasione per riepilogare la corretta applicazione della normativa in caso di dimissioni dei lavoratori domestici.
Il lavoratore domestico può rassegnare le proprie dimissioni volontarie senza alcun limite (decisione che discende unicamente da una sua considerazione di convenienza). Unica condizione, salvo il caso di dimissioni per giusta causa (ovvero in conseguenza di un grave inadempimento del datore di lavoro alle obbligazioni fondamentali del rapporto), è l’obbligo di dare il preavviso previsto dal CCNL: a tal proposito l’articolo 39 del CCNL prevede, per rapporti inferiori alle 25 ore settimanali, un preavviso di 8 giorni di calendario fino a 2 anni di anzianità presso lo stesso datore di lavoro e 15 giorni di calendario oltre i 2 anni di anzianità. Per i rapporti di lavoro non inferiori alle 25 ore settimanali i termini sono gli stessi (8 e 15 giorni) con l’unica differenza che lo scatto avviene dopo il quinto anno di anzianità anziché dopo il secondo. In caso di mancato o insufficiente preavviso, il datore di lavoro potrà trattenere dall’ultimo prospetto paga un’indennità pari alla retribuzione corrispondente al periodo di preavviso non concesso.
La norma non prevede alcuna forma particolare per le dimissioni. Esse pertanto possono essere presentate anche verbalmente, ritenendo la forma scritta soltanto ad probationem, a tutela del datore di lavoro che, in un eventuale controversia, può così fornire prova della cessazione del rapporto per volontà del lavoratore e non per la propria. Tuttavia, la forma scritta garantisce maggiori certezze per le controparti ed è quindi sempre consigliabile.
Affinché siano efficaci, a norma della Legge 92/2012 (c.d. Riforma Fornero), le dimissioni devono essere obbligatoriamente convalidate in sede sindacale, presso la Direzione territoriale del lavoro o Centro per l’impiego oppure (ipotesi più semplice) sottoscrivendo copia della denuncia di cessazione inoltrata all’INPS da parte del datore di lavoro.
Unica eccezione in tal caso è rappresentata dalle lavoratrici in gravidanza, o madri durante i primi 3 anni di vita del bambino o, in caso di adozione/affidamento durante i primi tre anni di accoglienza del minore, per le quali la norma prevede necessariamente la convalida dell’atto di fronte al servizio ispettivo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali o dai Centri per l’impiego.
Davide Bottos – Centro Studi CGN