Dal 7 marzo 2015 sono entrate in vigore le disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti. Vediamo quali sono le principali caratteristiche di tale regime di tutela.
Nel tentativo di fornire una risposta concreta in tempi brevi alle istanze dei mercati sempre maggiormente colpiti dalla crisi che dal 2008 imperversa nel contesto economico di cui l’Italia fa parte, con la L. n. 183/2014 il Parlamento ha delegato il Governo a procedere ad una radicale riforma del mercato del lavoro, nel tentativo di ridare slancio ad un sistema imprenditoriale oramai asfittico.
Uno dei primi provvedimenti emanati in attuazione della legge delega – il decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 – ha riguardato la disciplina del largamente anticipato contratto “a tutele crescenti” che, stando alle prime indiscrezioni uscite prima del testo normativo, avrebbe dovuto rappresentare una nuova forma di contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Il D.Lgs. n. 23/2015, però, non menziona mai – ad eccezione del titolo – il contratto a tutele crescenti, bensì regola una nuova fattispecie sanzionatoria del licenziamento dichiarato illegittimo di lavoratori assunti/confermati/trasformati a tempo indeterminato a far data dal 7 marzo 2015, giorno di entrata in vigore del citato decreto.
Allo stato attuale coesistono, pertanto, due differenti regimi di tutela applicabili ai lavoratori ingiustamente licenziati:
- quello ante D. Lgs. n. 23/2015 (destinato ad esaurirsi), il quale prevede l’applicazione della tutela reale, ovvero di quella obbligatoria, in relazione alla base occupazionale del datore di lavoro;
- quello successivo all’entrata in vigore del Decreto, che fa riferimento al “nuovo” contratto a tempo indeterminato.
In particolare, in caso di licenziamento illegittimo di lavoratori assunti a tempo indeterminato anteriormente al 7 marzo 2015, trovano applicazioni le disposizioni di cui all’art. 18, L. n. 300/1970 (tutela reale), ovvero di cui all’art. 8, L. n. 604/1966 (tutela obbligatoria).
L’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori – applicabile a datori di lavoro che occupano più di 15 dipendenti – prevede un regime di tutele estremamente frammentato (specie dopo l’intervento riformatore della L. n. 92/2012, cd. Legge Fornero) e differenziato in relazione al vizio del licenziamento.
Tutele che vanno dalla reintegra unitamente all’indennizzo economico del lavoratore ingiustamente licenziato per i casi più gravi (ad es. licenziamento discriminatorio, intimato in forma orale, privo di giusta causa ovvero di giustificato motivo, ecc.) al solo indennizzo economico (ad es. in caso di insufficienza delle motivazioni addotte dal datore, ovvero in caso di vizi procedurali) che, quindi, non inficia gli effetti risolutori del provvedimento espulsivo.
Viceversa, l’art. 8, L. n. 604/1966, applicabile a datori di più piccole dimensioni, prevede la sanzione alternativa della riassunzione ovvero dell’indennizzo economico del lavoratore (scelta peraltro rimessa al datore di lavoro).
Con l’entrata in vigore del D. Lgs. n. 23/2015 si ridimensiona la differenziazione del regime applicabile in ragione della dimensione aziendale del datore di lavoro.
Infatti, il Decreto trova applicazione nei confronti di tutti i lavoratori assunti a tempo indeterminato a far data dal 7 marzo 2015, a prescindere dal numero dei lavoratori occupati dall’azienda (dimensione rilevante, tuttavia, al fine di determinare l’entità della sanzione irrogata).
Il nuovo regime di tutele ricalca la precedente impostazione “mista” che prevede da un lato la sanzione della reintegra e dell’indennizzo economico (ad es. licenziamento discriminatorio, nullo, o in caso di insussistenza delle motivazioni addotte nel provvedimento espulsivo dettato da ragioni disciplinari) e dall’altro il solo indennizzo economico (ad es. licenziamento per GMO – sia in caso di insussistenza che insufficienza delle motivazioni -, licenziamento disciplinare viziato da insufficienza delle motivazioni addotte, vizi formali e/o procedurali).
Al riguardo va però notato come, a differenza del passato in cui l’indennità economica veniva determinata dal giudice in considerazione di una pluralità di fattori (anzianità del lavoratore, numero dei dipendenti occupati dal datore, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti), allo stato attuale l’entità dell’indennizzo economico viene determinata esclusivamente in relazione all’anzianità maturata in azienda dal lavoratore (2 mensilità per ogni anno di servizio prestato, in misura comunque non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità in caso di insufficienza delle motivazioni, ovvero 1 mensilità per ogni anno di servizio, con un minimo di 2 ed un massimo di 12 per violazioni formali e/o procedurali).
Ancora, una ulteriore novità introdotta dal D.Lgs. n. 23/2015 ha riguardato la disciplina del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ovvero determinato da ragioni economiche.
In precedenza, infatti, la Legge Fornero aveva introdotto una particolare procedura da esperirsi presso la competente Direzione Territoriale del Lavoro e riguardante i datori di lavoro con più di 15 dipendenti, i quali intendessero procedere, appunto, ad un licenziamento per GMO.
Procedura che non trova più applicazione al licenziamento economico di lavoratori assunti dal 7 marzo 2015.
Inoltre, l’eventuale illegittimità del licenziamento intimato per ragioni economiche viene ora sanzionata con il solo indennizzo economico (regime riguardante, si ribadisce, lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti) – fatto salvo il caso in cui il fatto non costituisca una più grave violazione (licenziamento discriminatorio o nullo) -, a differenza del passato in cui la fattispecie economica non veniva differenziata rispetto a quella disciplinare.
In conclusione, non può non sottolinearsi come la semplificazione delle norme in materia di lavoro – obiettivo apertamente dichiarato dall’Esecutivo – possa perseguirsi con una continua proliferazione e conseguente stratificazione di disposizioni, le quali non fanno altro che rendere sempre più incerto e complesso il contesto giuslavoristico in cui quotidianamente operatori e datori di lavoro si trovano ad operare, soprattutto in una materia così importante e delicata quale quella del licenziamento individuale.
Stefano Carotti – Centro Studi CGN