Il Consiglio di Stato, con le sentenze n. 838, 841 e 842 del 29 febbraio 2016, ha respinto i ricorsi della Presidenza del Consiglio dei ministri, confermando invece le tesi espresse dal TAR Lazio nel 2015. Chiariamo meglio quali sono le implicazioni di tale pronuncia in materia di ISEE per professionisti e contribuenti.
In sede giurisdizionale, a seguito del ricorso in appello presentato da Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e Ministero dell’economia e delle finanze, il Consiglio di Stato si è pronunciato in data 29 febbraio 2016 per la riforma della sentenza del TAR del Lazio, depositando tre sentenze (numeri 838, 841 e 842/2016) facenti ciascuna riferimento ai relativi pronunciamenti emessi dallo stesso TAR il 21 febbraio 2015, rispettivamente ai numeri: 2454/2015, 2458/2015 e 2459/2015.
Le citate deliberazioni dettano regole sulla revisione delle modalità di determinazione e sui campi di applicazione del nuovo ISEE – indicatore della situazione economica equivalente, disciplinato dal DPCM 159/2013. In linea generale e considerate in modo combinato, le disposizioni stabiliscono quanto segue:
- l’esclusione dal conteggio del reddito complessivo di quelle voci corrispondenti a “trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche, laddove non siano già inclusi nel reddito complessivo di cui alla lettera a)” (Art. 4, comma 2 lettera f), considerati ai fini del calcolo nonostante rappresentino proventi compensativi di un’oggettiva condizione di svantaggio;
- l’eliminazione, per i soggetti che presentano condizioni di disabilità/non autosufficienza, dell’incremento applicato alle franchigie nel caso di minorenni, annullando in sostanza la sezione del DPCM 159/2013 che ne regolamenta l’applicazione (Art. 4, lettera d, n. 1, 2, 3).
Se è certo che per molti contribuenti l’attuazione di detti pronunciamenti è comunque ininfluente, ad esempio coloro per i quali l’applicazione delle franchigie riduca già a zero il valore della situazione reddituale (ISR) o nel caso in cui quest’ultimo valore risulti elevato indipendentemente dalle voci sopraccitate di cui all’Art. 4, comma 2 lettera f, è anche indubbio che per una restante parte di contribuenti le sentenze potrebbero produrre un netto miglioramento della situazione reddituale.
Considerato ciò, la risoluzione di tale problematica non risulta semplice, quantomeno non in tempi brevi.
L’INPS, soggetto che in automatico va a riportare i valori dei trattamenti assistenziali, previdenziali ed indennitari all’interno della DSU e che si occupa del calcolo delle detrazioni e dell’applicazione delle franchigie, ad oggi non ha modo di adeguare i propri software a quanto sentenziato dal Consiglio di Stato. Il percorso di modifica non è infatti cosa banale e immediata poiché coinvolge un intervento di diversi enti volto proprio ad una correzione di quanto contenuto nel DPCM; pertanto, come ogni modifica normativa, esso dovrà seguire il relativo iter.
A fronte di queste considerazioni, ne consegue che i CAF non siano responsabili, allo stato attuale, del risultato riportato nelle attestazioni ISEE; non vi è modo per i Centri di Assistenza Fiscale né di andare ad agire sui dati inseriti direttamente dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, né tantomeno di presentare modelli correttivi.
Risulta pertanto difficile fornire risposte e indicazioni agli stessi contribuenti che si rivolgono ai CAF, nei casi in cui non agiscano in maniera autonoma nei confronti dell’INPS; in attesa di aggiornamenti da parte dell’Ente, al momento non sono purtroppo disponibili strumenti che consentano di ottenere un immediato riscontro.
Marika Magro – Centro Studi CGN