Cosa accade al conto corrente alla morte del suo titolare e quale legittimazione spetta agli eredi sulle giacenze presenti? Quali sono i limiti e qual è la prassi in uso alle banche?
Con il decesso di una persona i suoi beni patrimoniali, tanto le attività quanto le eventuali passività, vengono trasferiti ai chiamati che accettano l’eredità.
Solitamente questo comporta che, alla morte del cliente, l’istituto di credito provvede al “congelamento” di tutti i rapporti in essere: non è dunque più consentita alcuna transazione. Tale congelamento permane fino a quando, da un lato, non è definitivamente stabilito chi subentrerà come erede nei diritti e negli obblighi del de cuius, dall’altro, fino a che non è stata presentata una copia della dichiarazione di successione anche all’istituto di credito (sempre che non sussistano le condizioni di esonero dall’obbligo di presentazione della dichiarazione di successione ai sensi dell’art. 28 par.7 del decreto legislativo n. 346/1990; in tal caso gli istituti di credito richiedono una dichiarazione di esonero scritta da parte di un coerede, da presentare in duplice copia, poiché la banca è tenuta a trasmetterne una copia alla sede competente dell’Agenzia delle Entrate).
Per effetto della morte del titolare del conto, infatti, si estinguono anche tutti i poteri di firma che il defunto aveva concesso a terzi quando era in vita: pertanto, da quel momento, chiunque fosse stato delegato ad operare sul conto corrente, non potrà più effettuare prelevamenti o altre operazioni su tale rapporto.
Vediamo come è regolata la legittimazione degli eredi a poter disporre prelievi sulle somme depositate nel conto corrente del de cuius.
È opportuno in primo luogo esaminare il caso del conto corrente intestato unicamente al deceduto. Gli eredi, dopo aver definitivamente accettato l’eredità espressamente o tacitamente, quali continuatori della personalità giuridica del defunto, possono effettuare liberamente movimentazione bancaria.
Più delicato risulta essere il caso del conto corrente cointestato congiuntamente col defunto e con una o più persone: in tale ipotesi cadrà in successione solo la percentuale di denaro depositato di spettanza del de cuius. Ci si è chiesti se l’altro (o gli altri) cointestatario/i superstite/i possa/no o meno esigere la liquidazione intera del conto.
A questo riguardo bisogna dapprima distinguere se il conto cointestato prevedeva firma congiunta o firma disgiunta.
Nel primo caso si ritiene che il conto rimanga bloccato sino alla certa identificazione degli eredi legittimi che agiranno sul conto, quali continuatori della personalità giuridica del de cuius, congiuntamente assieme all’intestatario rimasto in vita.
Nel caso di firma disgiunta invece, non vi è la necessità di una pluralità di firme per esprimere la volontà di disporre, e quindi si ritiene in diritto che il cointestatario rimasto in vita potrà legittimamente operare oltre che sulla sua quota, anche su quella astrattamente riferibile al de cuius. Eppure tale situazione è malvista dalle banche, che lamentano il rischio di vedersi coinvolte in diatribe tra coeredi e l’intestatario vivente, al punto che non è infrequente nella prassi che in tali evenienze lascino comunque bloccati i conti correnti.
E questo nonostante rassicurazioni giurisprudenziali che hanno ribadito come, a fronte di un rapporto cointestato a firma disgiunta, potenzialmente sarebbero legittimati ad operare per l’intero tanto il cointestatario superstite quanto gli stessi eredi del de cuius.
Tornando al caso del conto corrente con de cuius quale unico intestatario: anche con una pluralità di eredi tutti contitolari del conto, si ritiene che ciascuno potrebbe prelevare la quota di sua spettanza, e ciò indipendentemente dalla presenza o comunque dal consenso degli altri coeredi. Anche in questo caso, tuttavia, ci si scontra spesso con la prassi bancaria che, impossibilitata a garantirsi la liberatoria da eventuali responsabilità, sblocca il conto solo se tutti gli eredi sono d’accordo e spesso solo se tutti sono presenti.
È interessante infine il caso del conto corrente intestato al solo de cuius coniugato in regime di comunione legale dei beni. L’art. 177 del codice civile dispone infatti che cadono in comunione sia i frutti dei beni personali, sia i proventi dell’attività separata dei coniugi non consumati al momento dello scioglimento della comunione: questo significa che il coniuge superstite sposato in regime di comunione legale potrà beneficiare del 50% del contenuto del conto del de cuius prescindendo dagli altri eredi.
La banca dunque dovrebbe consentire al coniuge la liquidazione della metà del contenuto del conto senza concorrenza con gli altri eredi, che potranno invece individuare la rispettiva quota di spettanza, iure successionis, solo sull’importo residuo.
Marco Marson – Centro Studi CGN