Sono sempre più numerosi gli italiani che si spostano all’estero per ragioni di lavoro e per periodi di tempo più o meno lunghi. Spesso, però, sorgono dubbi riguardo alla residenza fiscale di tali soggetti, con conseguente impatto ai fini delle imposte sui redditi. Facciamo chiarezza sulla questione, attraverso degli esempi pratici.
L’individuazione della residenza di un contribuente è una questione fondamentale e preliminare alla tassazione di ogni suo reddito, considerato che il soggetto fiscalmente residente in Italia ha l’obbligo di tassare nel nostro Paese i redditi che ha realizzato ovunque nel mondo (in base al principio del reddito mondiale), mentre il soggetto non residente deve sottoporre a tassazione in Italia solo i redditi che ha prodotto nel nostro territorio. Tale, infatti, è la distinzione sancita dall’art. 3 Tuir.
Per capire chi è un soggetto fiscalmente residente è necessario chiarire a quali soggetti si riferisce il legislatore e quali requisiti devono possedere tali soggetti per rientrare nella disposizione del comma 1 dell’art. 3 Tuir.
Tale risposta viene fornita dal comma 2 dell’art. 2 del Tuir, nel quale si afferma che sono considerate residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta (i cd. “183 giorni”) sono:
- iscritte nelle anagrafi comunali della popolazione residente;
- hanno il domicilio nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 43, comma 1 c.c.;
- hanno la residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 43, comma 2 c.c.
Queste condizioni devono essere verificate contemporaneamente? La risposta è no, in quanto il verificarsi di una sola di esse fa sì che il soggetto, seppur presente all’estero in maniera stabile, sia ancora considerato fiscalmente residente in Italia e pertanto rientri nel disposto di cui all’art. 3 (articolo, è bene ricordarlo, nel quale si indica che il soggetto fiscalmente residente in Italia deve assoggettare a tassazione i proventi del proprio lavoro ovunque prodotti).
Sempre più spesso capita che il soggetto che vive all’estero, magari iscritto nelle liste del Comune estero, sia ancora iscritto nell’anagrafe della popolazione residente; ebbene, tale condizione comporta per l’Agenzia la ripresa dei redditi prodotti all’estero. Tale situazione fa sorgere una condizione nella quale il soggetto è considerato residente in tutti e due gli Stati e, per dirimere la questione, occorre fare riferimento all’art. 4 della Convenzione OCSE, che prevede criteri particolari in merito alla doppia residenza. Tali criteri, detti “Tie Breaker Rules”, sono elencati in maniera gerarchica, nel senso che il criterio successivo si applica solamente se il criterio precedente non è stato in grado di dirimere la situazione.
Secondo il Modello di convenzione OCSE una persona fisica residente in due Stati contraenti è considerata residente dello Stato contraente nel quale ha un’abitazione permanente (1° criterio). Se ha una abitazione permanente in entrambi gli Stati, è considerata residente dello Stato nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette (centro degli interessi vitali). Se non si può determinare lo Stato nel quale ha il centro dei suoi interessi vitali, o se la persona non ha un’abitazione permanente in alcuno degli Stati contraenti, essa è considerata residente dello Stato contraente in cui soggiorna abitualmente (2° criterio). Se soggiorna abitualmente in entrambi gli Stati contraenti o non soggiorna abitualmente in alcuno di essi, essa è considerata residente dello Stato contraente del quale ha la nazionalità (3° criterio). Se ha la nazionalità di entrambi gli Stati, o se non ha la nazionalità di alcuno di essi, le autorità competenti degli Stati contraenti risolvono la questione di comune accordo (4° criterio).
Quindi per poter essere considerato un soggetto NON più iscritto all’anagrafe della popolazione residente, è necessario cancellarsi dalle liste della popolazione residente e perfezionare l’iscrizione nella lista della popolazione residente all’estero (A.I.R.E.). Tale condizione non è comunque sufficiente per essere considerato un soggetto fiscalmente residente all’estero, in quanto è necessario verificare in quale momento dell’anno fiscale è stato effettuato il trasferimento all’estero.
Chiariamo meglio il dettato con degli esempi.
Se un soggetto si trasferisce all’estero ad aprile 2016, con cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente ed iscrizione nell’A.I.R.E., per il 2016 potrà essere considerato come fiscalmente residente all’estero in quanto per la maggior parte del periodo d’imposta (cd. 183 giorni) non è residente in Italia; ciò significa che NON dovrà dichiarare in Italia i redditi percepiti per la sua attività estera dal mese di aprile fino al termine del periodo d’imposta (ovviamente se il soggetto ha prodotto redditi italiani nel periodo gennaio-aprile, dovrà verificare se presentare la dichiarazione per tali redditi).
A parità di adempimenti formali eseguiti (cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente ed iscrizione nell’A.I.R.E), se lo stesso soggetto si è trasferito all’estero nel mese di agosto 2016, la situazione cambia notevolmente, in quanto per la maggior parte del periodo d’imposta il soggetto è fiscalmente residente in Italia e pertanto deve dichiarare in Italia i redditi prodotti all’estero dal mese di agosto fino al termine dell’anno fiscale (che in Italia è il 31/12).
Infine, i soggetti che trasferiscono la propria residenza in paesi aventi una fiscalità agevolata, con il comma 2-bis dell’art. 2 Tuir, sono considerati dal legislatore in via presuntiva come fiscalmente residenti in Italia, salvo che effettivamente dimostrino la loro effettiva residenza nel paese estero.
Marco Beacco – Centro Studi CGN