Nel giudizio di opposizione ad una cartella di pagamento, l’Agente della riscossione può essere condannato al pagamento delle spese del giudizio anche quando l’illegittimità dell’azione esecutiva sia da attribuire all’ente impositore.
Lo stabilisce la VI sezione civile della Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 3105 emessa il 6 febbraio 2017, che ha condannato Equitalia al pagamento delle spese di giudizio per aver promosso un giudizio illegittimo per la riscossione di una cartella di pagamento.
I giudici della Suprema Corte hanno infatti respinto il ricorso proposto da Equitalia, avverso la sentenza del Tribunale di Roma che ha condannato Equitalia al pagamento delle spese del giudizio su una cartella di pagamento, in base al principio della soccombenza.
Come si può leggere nell’ordinanza emessa dalla Corte di Cassazione, i giudici hanno ritenuto di potere confermare il verdetto impugnato in quanto “alla fattispecie può essere applicato il principio di diritto secondo cui nella controversia con cui il debitore contesti l’esecuzione esattoriale, in suo danno minacciata o posta in essere, non integra ragione di esclusione della condanna alle spese di lite, né di compensazione delle stesse, nei confronti dell’Agente della riscossione la circostanza che l’illegittimità dell’azione esecutiva sia da ascrivere all’ente creditore interessato”.
È comunque facoltà dell’Agente della riscossione chiedere all’ente impositore di manlevarlo anche dall’eventuale condanna alle spese del giudizio in favore del debitore vittorioso.
Resta ferma anche la possibilità, per il giudice, di compensare le spese del debitore vittorioso nei confronti dell’Agente della riscossione e condannare al pagamento delle spese del debitore vittorioso soltanto l’ente creditore interessato o impositore quando questo è presente in giudizio, ove sussistano i presupposti di cui all’articolo 92 (condanna alle spese per singoli atti e compensazione) del codice di procedura civile, diversi ed ulteriori rispetto alla sola circostanza che l’opposizione sia stata accolta per ragioni riferibili all’ente creditore interessato o impositore.
Il ricorso dell’Agente della riscossione viene respinto con relativa condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità e raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’articolo 13 comma 1-quater, Testo Unico delle Spese di Giustizia.
Ma questo non è l’unico caso in cui è Equitalia a pagare le spese del giudizio. Se la cartella di pagamento viene annullata per un errore dell’ente impositore, la condanna alle spese processuali ricade sull’Agente della riscossione. La sentenza n. 25039 emessa il 17 dicembre 2015 dal Tribunale di Roma, ad esempio, condannava Equitalia al pagamento delle spese di giudizio per lite temeraria per non aver verificato la regolarità della notifica a suo tempo fatta dall’ente impositore.
Secondo la sentenza 8402/2012 della Cassazione, l’Agente della riscossione, inoltre, paga le spese del giudizio anche quando la cartella di pagamento è stata notificata in ritardo per responsabilità dell’Agenzia delle Entrate.
In quest’ultimo caso, è inutile dunque per il concessionario della riscossione eccepire di fronte alla Suprema Corte la mancanza di responsabilità per il ritardo della notifica verso il contribuente.
Secondo diversi orientamenti giurisprudenziali infatti, Equitalia può essere condannata al pagamento delle spese del giudizio anche quando a sbagliare è stato l’ente impositore e non l’Agente della riscossione.
L’Agente della riscossione, poi, ha tutto il diritto di rivalersi, se lo ritiene opportuno, contro l’amministrazione finanziaria che erroneamente ha iscritto a ruolo la somma non dovuta dal contribuente.
Ricordiamo che le spese del giudizio comprendono, oltre al contributo unificato, gli onorari e i diritti del difensore, le spese generali e gli esborsi sostenuti, oltre il contributo previdenziale e l’imposta sul valore aggiunto, se dovuti (D.Lgs 546/92).
Antonino Salvaggio – Centro Studi CGN
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