Ammessa dal d.lgs. 96/2001, la possibilità di esercitare l’attività forense in forma societaria ha avuto finora poca fortuna. La causa è la rigidità del modello originario, che ne limitava l’esercizio ai soli professionisti in possesso del titolo di avvocato e ne prescriveva l’organizzazione nella forma della società in nome collettivo. Vediamo che cosa cambia quest’anno per gli studi legali italiani.
Due sono i testi di legge volti a rilanciarne la concorrenzialità: la legge sulla concorrenza (124/2017), in vigore dal 29 agosto, che per la prima volta consente l’ingresso ai soci di capitale, anche non professionisti, e la legge sul lavoro autonomo (81/2017) in vigore dal 14 giugno scorso, che permette agli avvocati la creazione di reti fra professionisti e consorzi. L’invito è, da un lato, quello ad aumentare le dimensioni degli studi e, dall’altro, ad aprirsi a soggetti diversi, anche esterni al mondo delle professioni. Andiamo a scoprire nel dettaglio le novità.
La società fra avvocati apre innanzitutto le porte ai soci di capitale. L’esercizio della professione viene consentito a società di persone, di capitali o cooperative e ne viene prescritta l’iscrizione non solo nella sezione speciale del Registro Imprese relativa alle società fra professionisti, ma anche in apposita sezione speciale dell’albo tenuto dall’ordine. Vietata invece la partecipazione tramite società fiduciarie, trust o per interposta persona, pena l’esclusione di diritto del socio.
Aperte le porte anche a soci di capitale non professionisti, purché i soci, per almeno due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto, siano avvocati iscritti all’albo, ovvero professionisti iscritti in albi di altre professioni.
Viene specificato inoltre che “la maggioranza dei membri dell’organo di gestione deve essere composta da soci avvocati” e che “i componenti dell’organo di gestione non possono essere estranei alla compagine sociale”, ma d’altra parte sarà peraltro possibile per i soci professionisti rivestire la carica di amministratori.
Nulla cambia, invece, con riguardo al principio della personalità della prestazione professionale, punto fermo anche nel caso di esercizio della professione forense in forma societaria. Solamente chi è in possesso dei requisiti necessari può svolgere l’incarico richiesto dal cliente, garantendo per tutta la sua durata la piena indipendenza e imparzialità, dichiarando possibili conflitti di interesse o incompatibilità. La responsabilità della società non esclude quella del professionista che ha svolto la prestazione specifica.
Una maggiore spinta viene data anche agli studi associati. Agli avvocati è permessa la partecipazione a più di una associazione professionale, costituite tra avvocati o anche multidisciplinari, alle quali sono ammessi altri liberi professionisti, dai commercialisti ai consulenti del lavoro agli ingegneri, individuati dal regolamento del Ministero della Giustizia n. 23 del 4 febbraio 2016.
La legge sul lavoro autonomo introduce infine la possibilità per gli avvocati di avvalersi di strumenti giuridici prima riservati alle imprese, creando reti di professionisti, partecipando alle reti di imprese miste, costituendo consorzi stabili professionali o associazioni temporanee professionali. L’intento è quello di consentire anche ai professionisti di partecipare a bandi e concorrere all’assegnazione di appalti privati, contenendo i costi di gestione senza farsi sfuggire opportunità di grandi incarichi che necessitano dell’apporto di più professionisti.
Ecco che le reti di professionisti, che non sono un soggetto giuridico autonomo rispetto ai singoli professionisti, possono essere lo strumento idoneo a contrapporre i piccoli studi alle nuove società di capitale, spingendo verso realtà sempre più aggregate.
Elena Nonini – Centro Studi CGN