Non è raro che commercialisti e consulenti siano chiamati in causa per assistere i clienti nella stipula di atti o contratti che hanno ad oggetto una compravendita, un testamento o una donazione. Ma cosa succede se una delle parti coinvolte si trova in una condizione transitoria di incapacità naturale e quindi, di fatto, in stato di incapacità di intendere e volere?
Tutti gli atti compiuti da una persona che, sebbene non interdetta, provi essere stata per qualsiasi causa, anche transitoria, incapace di intendere e di volere, al momento in cui gli atti sono stati compiuti, possono essere annullati su istanza della persona medesima o dei suoi eredi o aventi causa, se ne risulta un grave pregiudizio all’autore (art. 428 C.C.).
L’annullamento di un atto o contratto può essere pronunciato quando il pregiudizio che sia derivato o possa derivare alla persona incapace di intendere o di volere risulta dalla malafede dell’altro contraente.
La rilevanza della malafede si giustifica dalla necessità di tutelare i terzi contraenti, anche qualora ciò possa determinare un sacrificio delle ragioni dell’incapace. Per la sussistenza del requisito della malafede è sufficiente che l’altro contraente si sia avveduto della sproporzione fra le prestazioni e ne abbia tratto profitto.
Le cause dell’incapacità possono essere provate con ogni mezzo (ad esempio con testimoni o con presunzioni) anche se il negozio giuridico risulti da atto pubblico, perché in tal caso si fa riferimento alla mancanza di uno dei presupposti essenziali quale la capacità di intendere e di volere e non al contenuto del negozio giuridico.
I contratti, che sono sempre atti bilaterali, sono annullabili se si dimostra quindi la malafede dell’altro contraente, che consiste nella consapevolezza della menomazione nella sfera intellettiva e volitiva dell’altro contraente. Uno degli indici rivelatori della malafede può essere costituito dal pregiudizio effettivo o potenziale arrecato dal contratto al soggetto incapace.
È utile sapere però che l’azione di annullamento si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui l’atto o il contratto è stato compiuto (articoli 428 comma 3 e 1442 comma 1 del Codice Civile).
Ma cosa si intende per incapacità di intendere o di volere?
Si definisce incapacità naturale l’inettitudine di un soggetto a compiere atti che incidono sulla propria sfera giuridica. L’incapacità naturale si differenzia dall’incapacità legale, in quanto quest’ultima è una situazione di diritto cui consegue l’annullabilità di tutti gli atti posti in essere.
L’incapacità naturale, quindi, è uno stato transitorio di minorazione delle facoltà psichiche dell’individuo, dovuta a qualsiasi causa durante il quale il soggetto pone in essere un negozio giuridico. Le cause che possono alterare le facoltà psichiche di un individuo possono essere diverse: stato di ubriachezza, assunzione di sostanze stupefacenti, suggestione ipnotica, malattia grave o effetti derivanti da assunzione di particolari psicofarmaci.
L’incapacità di intendere indica invece l’incapacità del soggetto di rendersi conto del significato delle proprie azioni. Viene quasi sempre riconosciuta dai tribunali tranne che nei casi di delirio, allucinazioni e in fenomeni di scostamento rispetto alla realtà.
L’incapacità di volere indica invece l’incapacità di autodeterminarsi liberamente e fa riferimento alla mancanza di quel minimo di attitudine psichica a rendersi conto delle conseguenze dannose della propria condotta.
E così, l’incapacità di intendere e di volere di un soggetto, in relazione ad un negozio giuridico, come ad esempio una donazione di un immobile (che per sua natura implica una disposizione del proprio patrimonio ad un terzo soggetto senza ricevere un corrispettivo), può portare all’annullamento dell’atto.
Attenzione però! In un campo così vario e complesso come questo, non bisogna generalizzare e dare tutto per scontato. Nel valutare le prove fornite dall’interessato al giudice, quest’ultimo dovrà condurre una serie di indagini approfondite per verificare l’effettiva incapacità di intendere e di volere al momento del compimento dell’attività giuridica.
Antonino Salvaggio – Centro Studi CGN
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