La legge italiana prevede che chiunque causa ad altri un danno ingiusto è tenuto al risarcimento. Quando è possibile chiedere il risarcimento dei danni? Ed entro quanto tempo? Quali sono gli aspetti contabili del risarcimento danni?
Il nostro sistema giuridico prevede che ciascun cittadino deve comportarsi in modo tale da non ledere la posizione altrui e a non cagionare danni. Il danno infatti, per definizione, è quel pregiudizio che deriva da un comportamento volontario o doloso di un altro soggetto.
Nella pratica commerciale, nel caso in cui un imprenditore (o un professionista) ritiene di aver subito un danno economico, può richiedere il risarcimento (la fattispecie più comune è il caso di risarcimento danni per inadempimento contrattuale). Esiste un termine entro il quale si può fare la richiesta di risarcimento? La risposta è affermativa.
Se ad esempio, il danno deriva da un contratto, il termine per la richiesta del risarcimento danni normalmente è 10 anni. Se invece, il danno deriva da un fatto illecito (derivante cioè da un comportamento doloso o colposo della parte che ha causato il danno), il termine per esercitare la richiesta è di 5 anni.
Il danno va in ogni caso dimostrato sia sotto il profilo della sua esistenza che sotto il profilo della sua quantificazione. Se il danno è conseguenza di un adempimento contrattuale, il danneggiato potrà limitarsi a contestare alla sua controparte una condotta negligente per provare che il danno subito è stato provocato da questo comportamento.
La controparte dovrà poi provare di avere eseguito correttamente gli obblighi che derivano dal contratto. Il danno infatti può essere risarcito solo se esso è conseguenza immediata e diretta del comportamento del danneggiante.
Nel caso di danno dovuto all’inadempimento o al ritardo, il risarcimento deve comprendere sia la perdita subita dal creditore che il mancato guadagno (definito lucro cessante), in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta.
Nella responsabilità contrattuale, ove l’inadempimento o il ritardo non abbiano natura dolosa, il risarcimento del danno è limitato al solo danno prevedibile al tempo in cui è sorta l’obbligazione.
Dobbiamo sempre distinguere il risarcimento dall’indennizzo. Mentre il risarcimento è l’attività imposta dalla legge per riparare ad un danno ingiusto, l’indennizzo è invece previsto in tutti quei casi in cui non viene causato un danno ingiusto, ma si ritiene opportuno che il soggetto leso riceva comunque una somma di denaro per riequilibrare una situazione che rischierebbe di diventare ingiusta.
Dal punto di vista contabile, l’indennizzo ricevuto per il risarcimento danni costituisce un componente di reddito di competenza dell’esercizio in cui si è verificata la perdita o il danneggiamento, salvo che, alla data di chiusura dell’esercizio, il risarcimento non sia ancora certo ed oggettivamente determinabile, nel qual caso esso è di competenza del periodo d’imposta in cui ricorrono queste condizioni.
Se alla fine del periodo d’imposta l’indennizzo non è ancora stato saldato, ma si conosce già l’importo dello stesso, è possibile procedere alla relativa iscrizione dello stesso nel conto economico.
Se non si conosce l’importo, ma si è certi del diritto a ricevere l’indennizzo, si procederà a iscrivere a conto economico una stima di esso, mentre se si è completamente all’oscuro sia del diritto a riceverlo che dell’ammontare dello stesso, si procederà alla svalutazione della posta dell’attivo.
In particolare, le indennità conseguite a titolo di risarcimento danni costituiscono una sopravvenienza attiva, ai sensi dell’articolo 88 comma 3 del TUIR. E così se, ad esempio, un’impresa riceve una indennità a titolo di risarcimento danni per l’interruzione della produzione a causa di un guasto ad un macchinario ancora in garanzia, si dovrà contabilizzare nel conto economico una sopravvenienza attiva (risarcimenti per danni diversi).
Antonino Salvaggio – Centro Studi CGN
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