Nell’affrontare la vasta tematica del fenomeno giuridico della successione mortis causa, spesso ci si imbatte, e non con pochi dubbi, nella tematica delle donazioni. In questo articolo affrontiamo il caso specifico della nullità della donazione indiretta a seguito della sentenza 18725/2017 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
La donazione è quel contratto col quale il donante arricchisce intenzionalmente il donatario disponendo di un proprio diritto, oppure obbligandosi a disporne, senza conseguire un corrispettivo. Le caratteristiche essenziali dell’istituto sono la liberalità e lo scopo di arricchire il patrimonio del donatario, scopo che può essere raggiunto attraverso diverse modalità. Infatti, per quanto attiene al requisito della forma, il nostro Codice Civile pone una summa divisio fra la “donazione diretta” e la “donazione indiretta”.
Nel primo caso è necessaria, pena nullità, la forma dell’atto pubblico e la presenza di due testimoni, mentre nel secondo caso lo scopo viene perseguito ugualmente senza il rispetto dei requisiti formali solenni, tipici e necessari della donazione diretta, ma attraverso un mezzo che può essere il più vario (ad es. contratto a favore di terzo, remissione del debito, pagamento di una obbligazione altrui, ecc.).
Ricordando che le uniche donazioni rilevanti ai fini successori sono solo quelle effettuate in vita dal de cuius a favore degli eredi, l’incidenza delle stesse è particolarmente significativa per il calcolo della quota disponibile e, di converso, per la tutela della quota necessaria spettante ai legittimari.
Tale calcolo prende il nome di riunione fittizia la quale si esplica nella formula latina ancor oggi valida “relictum – debitum + donatum”; attraendo fittiziamente l’ammontare delle donazioni nell’asse ereditario sarà possibile stabilire se vi è stata o meno una lesione della cd. quota di legittima, con conseguente possibilità per il legittimario di agire in riduzione al fine di salvaguardare il proprio diritto.
È evidente che il predetto procedimento risulta “semplice” nelle ipotesi di donazioni dirette, mentre spesso provoca tentennamenti nelle donazioni indirette, le quali prescindono dai tipici requisiti formali e pertanto sono oggettivamente più difficili da individuare e interpretare.
Sulla materia sono intervenute le Sezioni unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 18725 del 27 luglio 2017 che, nell’esercizio della propria funzione nomofilattica, hanno affrontato una delle casistiche più frequenti nella prassi: i genitori pagano il prezzo di un appartamento acquistato dal figlio e successivamente decedono. Il passaggio di risorse finanziarie da un soggetto ad un altro per scopi di liberalità e attraverso l’intermediazione di un ente creditizio si deve configurare come donazione diretta o indiretta?
La questione non è meramente teorica, in quanto le conseguenze dell’interpretazione sono notevoli.
Se la fattispecie concreta viene inquadrata nell’istituto della donazione diretta, l’unica conseguenza possibile sarà la nullità della stessa per vizio di forma, a prescindere dunque da un’eventuale lesione della quota di riserva; se si dovesse invece optare per la qualificazione di donazione indiretta, la stessa sarà valida e contestabile dai coeredi se e solo se comporti una lesione della legittima.
Dopo un excursus molto didattico sul panorama dottrinale e giurisprudenziale, le Sezioni Unite muovono dalla semplice constatazione che la donazione diretta non è altro che un contratto tipico a forma vincolata; in altre parole, per realizzare lo scopo del passaggio immediato di ingenti somme di denaro per spirito di liberalità, le parti non possono che ricorrere al contratto di donazione e quindi soggiacere ai suoi stringenti requisiti formali. L’ente creditizio infatti non è una parte contrattuale, ma un mero esecutore di prestazione richiesta da terzi, che fa sì che l’intera operazione debba essere qualificata come donazione tipica ad esecuzione indiretta, ma nulla per vizi di forma.
Di conseguenza, è come se la somma donata non fosse mai fuoriuscita dalla sfera giuridica del donante e pertanto gli eredi di quest’ultimo avranno diritto alla restituzione della stessa attraverso il fenomeno della cd. collazione ex art. 737 e ss. c.c. e alla sua divisione, a prescindere da eventuali lesioni di diritti ereditari.
Per quanto attiene all’ambito fiscale, si ricorda che (salvo le ipotesi di donazioni di modico valore, quelle registrate gratuitamente o con pagamento dell’imposta in misura fissa) il valore della donazione deve essere inserito nella dichiarazione di successione, ma lo stesso produrrà effetti non sull’importo delle imposte da versare in autoliquidazione, bensì sul tetto delle franchigie applicabili all’imposta di successione, così come previsto dal D.L. 262/2006. Pertanto, andranno sicuramente indicate le donazioni dirette e le donazioni presunte (art. 1, III c., TUS) come dal Fascicolo 2, pagina 18 delle Istruzioni Ministeriali. Ma come comportarsi con le donazioni indirette, soprattutto se affette da nullità come nel caso esaminato dalle Sezioni Unite?
Data la difficoltà nel riconoscere l’esistenza di una donazione indiretta, ai fini dell’inserimento in dichiarazione per il Professionista, è logico sostenere la necessità di indicazioni da parte del proprio cliente.
Diverso discorso nell’ipotesi in cui il Professionista sospetti della nullità di una donazione indiretta. Pare evidente che nella prassi purtroppo si debba assistere ad un vero e proprio disallineamento temporale, in quanto la dichiarazione di successione deve essere effettuata, pena sanzioni, entro 12 mesi dall’apertura della successione, ma entro lo stesso termine difficilmente la giustizia italiana riuscirà a pervenire ad una sentenza dichiarativa di nullità.
Secondo l’opinione di chi scrive, la soluzione preferibile consiste nel valutare l’asse ereditario nella sua globalità, attendendo l’eventuale e futura pronuncia da parte dell’Autorità Giudiziaria e inserendo quindi “momentaneamente” la donazione nell’apposito quadro. Se poi successivamente alla dichiarazione di successione dovesse essere pronunciata una sentenza di nullità di una donazione indiretta, allora lo strumento utile per ridefinire la consistenza patrimoniale dell’eredità non potrà che essere la dichiarazione sostitutiva, con la quale l’ammontare della donazione verrà attratto all’interno dell’asse, con conseguente ricalcolo delle franchigie, delle imposte in auto liquidazione e di successione e – dato il probabile superamento della soglia dei 12 mesi dal decesso – della somma dovuta a titolo di ravvedimento.
Roberto De Bellis – Centro Studi CGN