Due risoluzioni dell’Agenzia Entrate, la n. 35/E del 7.5.2018 e la n. 118/E del 28.5.2003, apparentemente si contraddicono sul regime fiscale da attribuire al reddito conseguito dalle società tra avvocati. Cerchiamo di fare chiarezza sulla questione.
Una prima forma di società tra avvocati fu introdotta nel nostro ordinamento con il D.Lgs. n. 96/2001. Per quanto qui d’interesse, all’art. 16 si affermò che la società tra avvocati non è soggetta a fallimento e si richiamarono anche le norme che regolano la società in nome collettivo di cui al capo III – titolo V – libro V del codice civile.
A seguito dell’intervento dell’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n.118/E – 2003, fu precisato che “Il rinvio alle disposizioni che regolano le società in nome collettivo opera ai soli fini civilistici, in quanto consente di determinare le regole di funzionamento del modello organizzativo, mentre ai fini fiscali, per ragioni di coerenza del sistema impositivo, occorre dare risalto al reale contenuto professionale dell’attività svolta”.
Per quanto attiene alla natura fiscale del reddito societario, l’Agenzia, con la citata risoluzione, riconobbe l’applicazione della disciplina del reddito da lavoro autonomo e specificò che i compensi sono soggetti a ritenuta d’acconto.
Nonostante però la professione forense esercitata in forma societaria mantenga il principio della personalità della prestazione professionale, l’Agenzia delle Entrate di recente si è pronunciata per la tassazione del reddito da essa prodotta, con i criteri d’impresa.
Il documento è la risoluzione n. 35/E del 7.5.2018 e risponde a un interpello formulato sulle società tra avvocati costituite secondo le nuove disposizioni di cui all’art. 4 bis della L. n. 247-2012 (introdotto dall’art. 1 c. 141 della L. n. 124 – 2017).
In questo caso, l’Agenzia ha ritenuto che “sul piano civilistico le società tra avvocati sono costituite secondo i modelli regolati dai titoli V e VI del codice civile. Pertanto, non costituiscono un genere autonomo con causa propria, ma appartengono alle società tipiche regolate dal codice civile e, come tali, sono soggette integralmente alla disciplina legale del modello societario prescelto”.
Conseguentemente l’Agenzia ritiene che, “in assenza di una esplicita norma, l’esercizio della professione forense svolta in forma societaria costituisce attività d’impresa, in quanto, risulta determinante il fatto di operare in una veste giuridica societaria piuttosto che lo svolgimento di un’attività professionale”.
Pertanto, l’Agenzia delle Entrate conclude che sul piano fiscale, alle società tra avvocati costituite sotto forma di società di persone, di capitali o cooperative, si applichino le previsioni di cui agli articoli 6, ultimo comma, e 81 del TUIR.
In base a ciò, il reddito complessivo delle società di cui sopra, è considerato reddito d’impresa.
L’Agenzia conclude, quindi, che una società per azioni costituita per l’esercizio dell’attività di avvocato deve assoggettare ad IRES il reddito prodotto e ad IRAP il valore della produzione.
In conclusione, è opinione di chi scrive che l’indirizzo a considerare reddito d’impresa quello prodotto da società tra avvocati si riferisca esclusivamente alla nuova configurazione di cui all’art. 4-bis della Legge n. 247 – 2012 di recente introdotto. In tal senso pare indirizzare la citata risoluzione n. 35/E -2018 nel punto in cui afferma che la società tra avvocati, di cui al più volte citato art. 4-bis, si discosta dalla precedente disciplinata dal D.Lgs. n. 96-2001, nella quale ai fini fiscali occorre dare risalto al reale contenuto professionale dell’attività svolta.
Dott. Rag. Giuseppina Spanò – Palermo