Chi allega al modello 730 documenti in tutto o in parte inesistenti per ottenere indebite detrazioni fiscali commette il reato di dichiarazione fraudolenta. È quanto sancito dalla Corte di Cassazione.
L’articolo 2 D.Lgs. n. 74/2000, come noto, sanziona con la “reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti indica, in una delle dichiarazioni relative a dette imposte, elementi passivi fittizi”.
Affinché si realizzi la fattispecie sopra descritta, quindi, è necessario che il contribuente indichi in una delle dichiarazioni previste ai fini delle imposte sui redditi (ma anche Iva), elementi passivi fittizi, giustificati da fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
Nel Manuale in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza, volume I – parte II – capitolo 1, in merito, si legge che il riferimento ad “altri documenti” comporta che il reato in esame si realizza attraverso la detenzione di documenti probatori utilizzati in dichiarazione e che fra i soggetti attivi del reato rientrano anche coloro che non sono obbligati all’istituzione, tenuta e conservazione delle scritture contabili.
Alla luce delle precisazioni sopra esposte, occorre quindi chiedersi se allegare al modello 730 documenti in tutto o in parte inesistenti per ottenere indebite detrazioni fiscali possa integrare il reato previsto e punito dall’articolo 2 D.Lgs. n. 74/2000. In merito alla questione, è intervenuta la Corte di cassazione, sezione 3^ penale che, con la sentenza n. 17126/2018, ha giudicato penalmente rilevante la condotta perpetrata dai trasgressori. Dalla sentenza, infatti, si evince che alcuni soggetti, in associazione tra di loro, avevano realizzato un “programma delinquenziale” mediante la presentazione fraudolenta di dichiarazioni dei redditi e giustificavano gli importi ivi indicati mediante documentazione allegata. Il sistema, secondo quanto risulta dagli atti, era così strutturato:
- venivano preliminarmente contattati uno o più contribuenti disposti a presentare dichiarazioni dei redditi infedeli;
- venivano emesse fatture false, ad esempio relative a spese mediche inesistenti, generando così una dichiarazione con un corposo credito Irpef;
- la documentazione era poi tramessa al Caf e per suo tramite all’Agenzia delle entrate.
Sullo specifico punto, secondo quanto scritto dai giudici della Suprema, integra il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, la falsa indicazione nella dichiarazione Irpef di spese deducibili dall’imposta quando le stesse non siano state sostenute o siano state sostenute in misura inferiore. La Suprema corte, inoltre, ha ribadito che, ai sensi dell’articolo 2 D.Lgs. n. 74/2000, rientrano nella nozione di documenti inesistenti quelli aventi valore probatorio analogo alle fatture come ad esempio le ricevute fiscali per spese mediche o per interessi sui mutui.
Massimo D’Amico – Centro Studi CGN