Quali sono le regole per accertare il superamento della soglia di 10.000 euro sopra la quale l’omesso versamento di ritenute previdenziali da parte del datore di lavoro diventa penale?
Dopo aver passato in rassegna la normativa e la giurisprudenza in materia, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella sentenza n.10424 depositata lo scorso 7 marzo 2018, dispongono che per individuare il superamento del tetto di 10.000 euro sopra il quale l’omesso versamento di ritenute previdenziali da parte del datore di lavoro diventa penale, bisogna prendere come riferimento non il mese di pagamento della retribuzione, ma il termine ultimo per il versamento dei contributi (che è il 16 del mese successivo).
Difatti la sentenza di cui sopra ha affermato il seguente principio di diritto: “In tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei dipendenti, l’importo complessivo superiore ad euro 10.000 annui, rilevante ai fini del raggiungimento della soglia di punibilità, deve essere individuato con riferimento alle mensilità di scadenza dei versamenti contributivi (periodo 16 gennaio-16 dicembre, relativo alle retribuzioni corrisposte, rispettivamente, nel dicembre dell’anno precedente e nel novembre dell’anno in corso)”.
Quindi il lasso temporale entro cui verificare il mancato superamento della soglia dei 10.000 euro per non incorrere nel reato di omesso versamento della contribuzione è quello che va dal 1° gennaio al 31 dicembre di ciascun anno civile e che si riferisce alle mensilità intercorrenti dal dicembre dell’anno precedente al novembre dell’anno preso in considerazione.
In sostanza così come viene sostenuto nella stessa “la condotta del mancato versamento assume rilievo solo con lo spirare del termine di scadenza indicato dalla legge, sicché appare più coerente riferirsi, riguardo alla soglia di punibilità, alla somma degli importi non versati alle date di scadenza comprese nell’anno”.
Questa regola va applicata sia per determinare il superamento della soglia dei 10.000 euro, sia per individuare i conseguenti termini di prescrizione.
Si ricorda che la legge (articolo 2, comma 1-bis, decreto legge 463/1983), in seguito alle modifiche introdotte dal D.Lgs 8/2015, stabilisce che l’omesso versamento delle ritenute previdenziali per un importo superiore a 10.000 euro sia punito con la reclusione fino a tre anni e con una multa fino a 1.032 euro.
Se l’evasione contributiva è inferiore ai 10.000 euro scatta solo la sanzione amministrativa, da 10.000 a 50.000 euro.
Il datore di lavoro non è tuttavia passibile di sanzione penale, né assoggettabile alla sanzione amministrativa, quando provvede al versamento delle ritenute entro 3 mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione.
Prima dell’intervento modificativo, l’omesso versamento era penalmente sanzionato senza alcuna considerazione degli importi. Non era dunque contemplata la c.d. soglia di punibilità.
La recente sentenza in trattazione conferma l’interesse che vige su questo tema e dirime il diverso orientamento della valutazione di tale soglia di punibilità dato dall’Inps (e il Ministero del Lavoro) da un lato e dalla Cassazione dall’altro.
L’INPS nella circolare n. 121/2016, validando in tal senso il disposto della recente sentenza e conformemente a quanto precisato dal Ministero del Lavoro nelle note n. 9099/2016 e 6995/2016, seguendo il principio di “cassa”, ha sostenuto che i versamenti che concorrono a determinare la soglia sono quelli relativi al mese di dicembre dell’anno precedente all’annualità considerata (da versare entro il 16 gennaio) fino a quelli relativi al mese di novembre dell’annualità considerata (da versare entro il 16 dicembre).
La Corte, invece, in diverse sentenze (vedasi 22140/2017 e 56432/2017), ha disposto che, per accertare il superamento della soglia di punibilità, il periodo di un anno è da intendersi come quello nel quale il debito sia sorto, secondo un principio di competenza e non di cassa ovvero facendo riferimento alle mensilità di erogazione della retribuzione (e, quindi, dal versamento del 16 febbraio di un anno a quello del 16 gennaio dell’anno successivo).
La stessa quindi confermando che il debito previdenziale sorge con la corresponsione delle retribuzioni, al termine di ogni mensilità, rimarca che la condotta del mancato versamento assume rilievo solo con lo spirare del termine di scadenza indicato dalla legge.
Quindi dall’individuazione del criterio di imputazione temporale derivano conseguenze diverse, che determinano l’inclusione o l’esclusione di determinate mensilità nel computo dell’anno di interesse per il superamento della soglia di punibilità ed assicurano al datore di lavoro una più agevole individuazione delle eventuali conseguenze penali della propria condotta.
Fabrizio Tortelotti