La compensazione delle spese nei ricorsi tributari

Come ogni cosa, anche un ricorso tributario ha un suo costo. Generalmente, le spese che bisogna affrontare per un ricorso derivano dalla somma delle spese vive, del contributo unificato, delle consulenze tecniche e dei compensi pagati al professionista a cui è affidato l’incarico. Su chi gravano queste spese al termine del processo? E perché a volte le spese processuali vengono compensate?

Il principio su cui si basa la liquidazione delle spese processuali nel processo tributario è quello della soccombenza. In buona sostanza, il principio della soccombenza afferma che la parte soccombente in un processo è condannata al pagamento delle spese processuali che sono liquidate con la sentenza (articolo 9 del D.Lgs. 156/2015 che ha modificato l’articolo 15 del D.Lgs. 546/1992).

In un processo tributario, la parte soccombente è la parte che non vede accolte la proprie pretese o, in generale, che vede accolte le pretese della controparte. La soccombenza può derivare anche da motivi di ordine processuale e non di merito della causa.

Chi perde una causa o un ricorso tributario deve, quindi, pagare alla controparte le spese processuali che ha sostenuto per difendersi (le spese legali, consulenze tecniche d’ufficio e altre spese vive sostenute) nei limiti stabiliti dal giudice.

La norma trova la sua ratio nel principio fondamentale che il ricorso alla giustizia non deve in alcun modo cagionare un danno a chi ha ragione, con la conseguenza che la parte che vince la causa viene esonerata dalle spese del giudizio, ponendo le stesse a carico della parte perdente.

Ciascuna parte del processo, prima di agire o resistere in giudizio, dovrebbe valutare in maniera seria il rischio di dover sostenere le proprie spese processuali e quelle della controparte, in caso di soccombenza. Per questo motivo si dovrebbe riflettere a lungo sulla fondatezza o meno delle proprie pretese e sulla probabilità che le stesse vengano accolte o meno da parte del giudice.

Possono infatti verificarsi casi in cui, al termine del ricorso, il giudice disponga la compensazione delle spese del processo. In tal caso, le spese per la causa rimangono a carico di ciascuna delle parti che le ha sostenute.

Ad esempio, qualora, al termine di un processo tributario vi sia soccombenza reciproca, il giudice può procedere alla compensazione delle spese processuali. Generalmente, ciò avviene quando non si evince un vero e proprio vincitore.

Ai sensi del secondo comma dell’articolo 92 del codice di procedura civile, infatti, se vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero.

Anche nel caso in cui sussistano gravi ed eccezionali ragioni, oltre a quelle prima indicate, il giudice può compensare le spese tra le parti. In tale caso, però, occorre motivare quali siano queste gravi ed eccezionali ragioni per cui viene stabilita la compensazione delle spese. Le gravi ed eccezionali ragioni devono, quindi, essere motivate nella sentenza e le stesse non possono essere ricondotte alla complessità e alla pluralità delle questioni trattate nel processo.

Sulla questione è intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 591 del 12 gennaio 2017, la quale ha stabilito che la decisione del giudice tributario di compensare le spese processuali deve essere adeguatamente motivata, dal momento che la regola base del processo tributario, come abbiamo detto, è quella della soccombenza.

Ricordiamo, in conclusione che la compensazione delle spese può essere totale o parziale. Con la compensazione totale ogni parte del processo sopporta le spese che ha anticipato dall’inizio del giudizio, mentre con la compensazione parziale il giudice decide una compensazione proporzionata alla misura della reciproca soccombenza.

Antonino Salvaggio – Centro Studi CGN

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