Regime forfettario e agevolazione per le start-up: il caso del praticante avvocato titolare di partita IVA

Un praticante avvocato, terminato il periodo di tirocinio obbligatorio ed aperta la partita IVA per lo svolgimento dell’attività, può, una volta ottenuto il titolo di avvocato, accedere al regime forfettario beneficiando dell’agevolazione prevista per le start up?

Come noto, il regime forfetario, istituito dall’art. 1 co. 64 L. 23 dicembre 2014 n. 190 (c.d. Legge di stabilità 2015), prevede per i titolari di partita IVA che posseggano redditi al di sotto di importi prefissati di usufruire di un’aliquota sostitutiva IRPEF di natura proporzionale fissata nel 15%. Parimenti, il comma successivo consente altresì, “al fine di favorire l’avvio di nuova attività”, di scontare di un’aliquota ulteriormente ridotta e stabilita nel 5% rispetto all’ammontare dei ricavi o dei compensi percepiti. Trattasi della c.d. agevolazione prevista per le nuove attività, benefico incentivo ad iniziare un’impresa.

Lo scopo preciso della norma di favore è espresso dallo stesso legislatore, che stabilisce che, per poter beneficiare dei vantaggi, è necessario:
• che il contribuente non abbia esercitato, nei tre anni precedenti l’inizio dell’attività, attività artistica, professionale ovvero d’impresa, anche in forma associata o familiare;
• che l’attività da esercitare non costituisca, in nessun modo, mera prosecuzione di altra attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo, escluso il caso in cui l’attività precedentemente svolta consista nel periodo di pratica obbligatoria ai fini dell’esercizio di arti o professioni.

Ebbene, l’aspirante avvocato che abbia optato per l’apertura della partita IVA, nel periodo intercorrente tra il termine del periodo di praticantato e il superamento dell’esame, (perché ad esempio titolare di redditi superiori a 5.000 euro) avrebbe diritto all’agevolazione prevista per le start up? È considerato questo ventaglio temporale al di fuori del periodo di pratica obbligatorio?

Apparentemente sì. Il periodo di praticantato, infatti, indipendentemente dal superamento dell’esame di stato, ha una durata di 18 mesi. La risposta tuttavia merita un ulteriore approfondimento.

I casi delineati dal legislatore come ostativi alla fruizione dell’agevolazione hanno una chiara finalità antielusiva. Sono stati introdotti per evitare che i contribuenti pongano in essere un mutamento di veste o di aspetto giuridico finalizzato esclusivamente alla fruizione dell’aliquota del 5%.

Si pensi al caso in cui, un lavoratore dipendente, conscio dell’agevolazione di cui si tratta, si dimetta e continui ad esercitare in favore del datore di lavoro le medesime mansioni sotto forma di lavoratore autonomo. La cessazione del rapporto lavorativo è in questo caso artefatta, priva di ragioni economiche ma sorretta, invece, da motivi puramente fiscali. O si pensi ad un libero professionista che, abbandonata la libera professione a causa dell’insopportabile carico fiscale, intraprenda nuovamente l’attività pur di beneficiare dell’agevolazione.

Casi come questi configurano comportamenti elusivi che, come delineati nello “Statuto dei diritti del contribuente”, consistono nel compimento di una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto delle norme fiscali, realizzino essenzialmente vantaggi fiscali (art. 10 bis L. 212 del 27 luglio 2000, c.d. Statuto dei diritti del contribuente). Ove vengano realizzati comportamenti di tal genere, l’Amministrazione finanziaria imporrà d’ufficio l’applicazione della norma fiscale elusa. Salva l’ipotesi in cui l’operazione che ha garantito il risparmio d’imposta sia giustificata da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di carattere organizzativo o gestionale, che rispondano a finalità di miglioramento strutturale.

Ciò detto, il comportamento del praticante avvocato non è stato senz’altro sorretto dall’intento di ottenere un vantaggio fiscale. Trattasi piuttosto di un’operazione logistica oltretutto obbligatoria dettata dal superamento dell’esame di stato e dalla relativa iscrizione all’albo.

Sennonché, appare utile ricordare che con l’espressa indicazione del “periodo di pratica obbligatoria ai fini dell’esercizio di arti o professioni” il legislatore ha inteso riconoscere ai praticanti, siano essi avvocati, commercialisti, medici, ecc., una minor severità nell’applicazione della norma anti elusiva.

Posto che, questi ultimi, pur nella manifesta continuazione professionale tra un’attività e l’altra, rispettano la ratio sottesa alla norma: impedire comportamenti artefatti finalizzati esclusivamente ad ottenere il beneficio fiscale.

Si pensi al praticante avvocato che abbia aperto la partita IVA ad agosto per poter esercitare le proprie competenze in favore di un cliente e abbia, il mese successivo, superato l’esame di abilitazione. Merita la disapplicazione dell’agevolazione? È un comportamento fiscalmente discutibile? Può dirsi ugualmente rispettato il concetto di “nuova attività”? La ratio della norma è rispettata? A parere di chi scrive, sì.

Tuttavia, in alcuni casi, la norma antielusiva dovrebbe trovare ugualmente applicazione. Solo per citarne alcuni:
• il praticante avvocato che non si iscriva all’esame di stato volutamente e che, solo dopo che sia trascorso un rilevante lasso di tempo, abbia ottenuto il titolo;
• il praticante avvocato che venga reiteratamente bocciato all’esame di stato;
• il praticante avvocato che sia in grado di accedere, ancora prima dell’iscrizione all’albo, a una notevole fonte reddituale.

Il “caso standard” di chi si sia dotato di partita IVA pochi mesi prima del superamento dell’esame non ha motivo di essere trattato diversamente rispetto a coloro i quali abbiano atteso il superamento dell’esame. Infatti, il periodo successivo all’ottenimento del certificato di compiuta pratica prima dell’abilitazione è, rispetto al periodo precedente, un’ideale continuazione.

Infine, un utile considerazione pratica. Trattandosi di un caso controverso, si suggerisce agli interessati che si trovino nelle medesime condizioni la presentazione di un’istanza di interpello nella forma dell’interpello interpretativo puro alla Direzione regionale competente (come e dove presentare istanza di interpello) rimandando la risoluzione del dubbio interpretativo all’Amministrazione finanziaria.

In alternativa, trattandosi di norma anti elusiva, si suggerisce di proporre invece un’istanza di interpello disapplicativo (art. 11 co 2 del già citato Statuto dei diritti del contribuente). Tale strumento risulta necessario ai fini dell’ottenimento di un parere in merito alla disapplicazione di norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse (ex art. 37 bis co. 8 D.pr. 600/73).

Innegabile che, nell’inerzia del legislatore tributario, le eventuali risposte ricevuta dall’Amministrazione finanziaria potrebbero essere d’aiuto ai contribuenti che si trovino nelle medesime condizioni.

Giuliano Marin