Quali sono le informazioni e gli strumenti utilizzati dal Fisco nelle verifiche fiscali nei confronti dei liberi professionisti? E quali sono le metodologie adottate in caso di controllo? In questo articolo, affrontiamo il tema delle verifiche fiscali nei confronti dei professionisti.
Le verifiche fiscali nei confronti dei professionisti sono volte alla quantificazione della capacità contributiva del soggetto verificato, all’acquisizione di elementi utilizzabili per la determinazione della base imponibile e per combattere l’evasione o le economie sommerse.
In genere, le verifiche fiscali nei confronti dei professionisti vengono eseguite nei locali dove essi svolgono l’attività professionale, e in taluni casi, possono estendersi anche ad altre unità immobiliari degli stessi. Alcune verifiche fiscali vengono invece fatte d’ufficio, senza accedere presso i luoghi dove viene svolta l’attività professionale, utilizzando i dati di cui dispone il Fisco nelle proprie banche dati.
Gli strumenti di verifica a disposizione degli ispettori del Fisco sui conti dei liberi professionisti sono diversi. Uno dei più comuni è l’agenda degli appuntamenti, usata in particolar modo da medici, avvocati e notai, dalla quale risultano tutti gli appuntamenti dei clienti che entrano ed escono dallo studio professionale.
Per gli avvocati, poi, recentemente vengono controllate anche le agende delle udienze in tribunale e a poco valgono le difese dei professionisti che sostengono che alcune prestazioni vengono espletate gratuitamente, se poi la gratuità delle prestazioni professionali diventa sistematica come si evince dalle ultime interpretazioni dei giudici.
Nel corso delle verifiche fiscali nei confronti dei commercialisti invece possono essere richiesti gli onorari per le consulenze su operazioni societarie come cessioni d’azienda, trasformazioni di società e altre modifiche statutarie che potrebbero aver richiesto l’intervento del professionista e le fatture relative alle dichiarazioni dei redditi come da invii telematici effettuati.
Il reddito di un professionista può essere rideterminato dal Fisco anche sulla base degli elementi e delle informazioni reperite sui media che rivelano fatti di cronaca inerenti ad attività professionali espletate dallo stesso. È il caso ad esempio degli avvocati che difendono un noto criminale, dei medici che si sono occupati di determinati casi o, ancora, dei commercialisti che si sono occupati di determinate operazioni societarie di noti gruppi industriali.
Architetti, geometri e ingegneri scontano invece il fatto che spesso i loro elaborati e le loro relazioni tecniche sono depositati presso pubblici uffici. Gli ispettori del Fisco possono reperire in autonomia i vari atti e documenti depositati telematicamente attraverso la piattaforma Sister dell’Agenzia delle Entrate.
Dentisti, odontoiatri, podologi, ginecologi e altre categorie di medici devono invece fare i conti con le quantità di materiali usati nella loro attività professionale (numeri di guanti, protesi, capsule e altri presidi medici acquistati). In base alla comune esperienza è ragionevole pensare che a determinati consumi corrisponda un determinato numero di prestazioni mediche, con possibilità di calcolo dei ricavi presunti.
E così, le fatture di acquisto di questi materiali possono rivelare la capacità contributiva del professionista oggetto della verifica e a nulla possono valere le giustificazioni di un medico libero professionista, che consuma materiali usa e getta in numero sproporzionato rispetto al numero di prestazioni professionali fatturate (sentenza n. 4168 del 21 febbraio 2018 della Corte di Cassazione).
Inoltre, ai sensi dell’articolo 32 del D.P.R. 600/1973, l’Amministrazione Finanziaria può richiedere alla banca notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto o su qualunque operazione effettuata dal contribuente oggetto di verifica fiscale, se nutre il dubbio che vi siano operazioni ritenute sospette.
Nell’eventualità che il reddito dichiarato dal professionista oggetto di verifica fiscale non sia tale da giustificare l’ammontare dei versamenti sul conto corrente bancario, l’Amministrazione Finanziaria può presumere che tali somme siano derivanti da attività svolte in nero. Il rischio per il professionista è quello di vedersi riprendere a tassazione tali somme con l’applicazione di sanzioni e interessi.
Antonino Salvaggio – Centro Studi CGN
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