La responsabilità dell’ente no profit e dei suoi organi direttivi costituisce un significativo problema quando l’Amministrazione finanziaria attribuisce una responsabilità diretta ai sensi dell’articolo 38 codice civile quale conseguenza dell’imperfetta autonomia patrimoniale degli enti non riconosciuti.
La vicenda trae origine da un’azione con cui l’Amministrazione finanziaria accertava induttivamente ex articolo 39, comma 2, D.P.R. 600/1973, maggiori redditi e Iva. L’Agenzia delle entrate, quindi, notificava un avviso di accertamento nei confronti sia dell’ente sia del Presidente dell’associazione in virtù del dettato dell’articolo 38 codice civile secondo cui “Per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione”.
Nonostante quanto precisato dall’Agenzia delle entrate, però, secondo costante giurisprudenza la responsabilità di cui trattasi non è collegata meramente al ruolo di rappresentante dell’associazione ma all’attività negoziale realmente ed effettivamente svolta per conto dell’associazione che si concretizza nella creazione di rapporti obbligatori fra l’associazione e i terzi (Cassazione, n. 25748/2008, n. 19486/2009, n. 20485/2013, n. 12473/2015). Ne deriva, secondo la Suprema corte che, ai fini dell’individuazione della responsabilità del legale rappresentante, diviene indispensabile provare l’ingerenza nell’attività dell’Ente (Cassazione, n. 22861/2018).
Inoltre, sempre con l’ordinanza n. 22861 del 26 settembre 2018, la Corte di cassazione ha stabilito che la responsabilità personale e solidale del rappresentante dell’associazione non riconosciuta può certamente estendersi anche ai debiti di natura tributaria purché sia provata “non solo l’ingerenza di tale soggetto nell’attività dell’ente che rappresenta, ma anche il corretto adempimento degli obblighi tributari sul medesimo incombenti”.
In aderenza alle pronunce di cui sopra, anche nel febbraio 2019, la Corte di cassazione con l’ordinanza n. 5684/2019 ha ribadito che affinché rilevi la responsabilità personale e solidale del legale rappresentante dell’associazione non riconosciuta, è essenziale dimostrare la concreta gestione degli affari associativi. A tal proposito infatti, la Corte ha sancito che “per i debiti d’imposta, i quali non sorgono su base negoziale, ma ex lege al verificarsi del relativo presupposto, è chiamato a rispondere solidalmente, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la complessiva gestione associativa nel periodo considerato, fermo restando che il richiamo all’effettività dell’ingerenza vale a circoscrivere la responsabilità personale del soggetto investito di cariche sociali alle sole obbligazioni sorte nel periodo di relativa investitura” (Cassazione, n. 19486/2009, n. 25650/2018).
Stante quanto sopra descritto, quindi, si può concludere che i rappresentanti delle associazioni non riconosciute rispondono dei debiti di natura tributaria purché venga dimostrata in modo inequivocabile che la gestione sia stata svolta in nome e per conto dell’associazione.
Massimo D’Amico – Centro Studi CGN