Lo scorso 11 maggio è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Legge 3 maggio 2019, n. 37 (Legge europea 2018), recante disposizioni volte al rispetto degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea. Tra le varie novità, c’è anche quella relativa all’incompatibilità per il mediatore di affari, vale a dire colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare.
Il testo, composto da 22 articoli, introduce alcune novità per adeguare l’ordinamento nazionale alla normativa comunitaria al fine di prevenire l’apertura di procedure d’infrazione, permettere la chiusura delle stesse e favorire l’archiviazione dei casi ancora in fase di precontenzioso.
In particolare, la procedura d’infrazione n. 2018/2175 ha portato all’intervento normativo del legislatore italiano che, con l’articolo 2 della già citata legge, ha rivisto i casi di incompatibilità dell’esercizio della professione di mediatore.
Le fattispecie di incompatibilità dei mediatori (previste dall’articolo 5 della legge istitutiva dei mediatori n. 39 del 1989) erano già state riviste dal legislatore con la legge n. 57 del 5 marzo 2001 in base alla quale l’attività di mediazione non era esercitabile nel caso fossero svolte:
- attività in qualità di dipendente da persone, società o enti, privati e pubblici, ad esclusione delle imprese di mediazione;
- attività imprenditoriali e professionali, escluse quelle di mediazione comunque esercitate.
La possibilità di poter inserire delle limitazioni all’esercizio di una determinata professione è prevista nel diritto europeo dall’articolo 25 della direttiva CE/123/2006, secondo cui uno stato membro dell’Unione al fine di garantire il rispetto della specificità, indipendenza e imparzialità di una certa professione, può introdurre dei requisiti per lo svolgimento di un’attività.
La Commissione Europea, tuttavia, con la procedura di infrazione precedentemente citata, riteneva che le incompatibilità previste dalla normativa italiana limitassero eccessivamente la possibilità di alcuni soggetti di poter svolgere la professione di mediatore, non rispettando quel principio di proporzionalità su cui si basa il poc’anzi citato articolo 25 della direttiva CE.
La nuova normativa prevede che l’attività di mediatore sia ora incompatibile con:
- l’esercizio di attività imprenditoriali di produzione, vendita, rappresentanza o promozione dei beni afferenti al medesimo settore merceologico per il quale si esercita l’attività di mediazione;
- l’attività svolta in qualità di dipendente (ad esclusione delle imprese di mediazione) di ente pubblico o privato, o di dipendente di istituto bancario, finanziario o assicurativo;
- l’esercizio di professioni intellettuali afferenti al medesimo settore merceologico per cui si esercita l’attività di mediazione;
- in situazioni di conflitto di interessi.
La nuova disciplina va quindi a limare i vincoli precedenti, permettendo agli agenti di poter svolgere altre attività oltre alla mediazione, con conseguente possibilità di modernizzarsi al fine di offrire un maggiore spettro di servizi integrati ai propri clienti.
L’incompatibilità con altre professioni non è più assoluta e si restringe alle attività di produzione, vendita, rappresentanza o promozione dei beni svolte come imprenditore nel medesimo settore merceologico nel quale è esercitata l’attività di mediazione, oltre che per quelle attività di carattere non manuale, volte al soddisfacimento di fini di rilevanza sociale (le così dette professioni intellettuali).
Risultano inoltre incompatibili le attività svolte sotto forma di dipendente di ente pubblico o privato, o di istituto bancario, finanziario o assicurativo.
La nuova disciplina lascia comunque spazio a interpretazioni varie, e bisognerà quindi attendere le prime opinioni della giurisprudenza per poter interpretare in modo più o meno restrittivo la disciplina di settore introdotta nel 2019.
Nicola Tarantino – Centro Studi CGN