Secondo la Corte di cassazione, il ravvedimento deve essere effettuato sull’intera imposta versata in ritardo e non, invece, sulle somme che residuano dopo aver compensato crediti e debiti. Questo è il chiarimento fornito dalla Suprema corte attraverso l’ordinanza n. 6645 del 7 marzo 2019.
I fatti processuali
Un contribuente non aveva versato alla naturare scadenza (16 ottobre 2004) le ritenute d’acconto operate sui dividendi pagati ai soci, per un importo di euro 737.500. Dopo alcuni giorni, il 9 novembre, il contribuente effettua il versamento di euro 516.456,80 attraverso una compensazione e versa gli interessi e le sanzioni sulla sola differenza che residua tra l’ammontare delle ritenute complessivamente dovute e quelle versate, pari a euro 221.043,10.
Il contribuente, in altri termini aveva quindi:
- eseguito la compensazione ai sensi dell’articolo 17, D.lgs. n. 241/1997 e assolto solo parzialmente al debito tributario scaduto il 16 ottobre 2004;
- deciso di avvalersi del ravvedimento operoso ai sensi dell’articolo 13, D.lgs. n. 472/1997, calcolando l’importo della sanzione in misura ridotta soltanto sulle somme che residuavano dopo la compensazione.
L’Amministrazione finanziaria contestava l’operato del contribuente sul presupposto che gli interessi e la sanzione avrebbero dovuto essere calcolati sull’intera imposta, in quanto pagata successivamente alla scadenza.
Sia la Commissione tributaria provinciale, sia la Commissione tributaria regionale avevano dato ragione al contribuente ma l’Agenzia aveva comunque proposto ricorso per cassazione per violazione dell’articolo 8, legge 212/2000, e dell’articolo 17, D.lgs. 241/1997.
La Cassazione ha accolto il ricorso e ha affermato che “in materia tributaria … la compensazione è ammessa, in deroga alle comuni disposizioni civilistiche, soltanto nei casi espressamente previsti, non potendo derogarsi al principio secondo cui ogni operazione di versamento, di riscossione di rimborso, ed ogni deduzione sono regolate da specifiche, inderogabili norme di legge”.
I giudici della Corte di cassazione, per dirimere la controversia, hanno innanzitutto dovuto chiarire due distinti aspetti e cioè:
- se la compensazione, di cui all’articolo 17, D.lgs. n. 241/1997, produce i suoi effetti a decorrere dal momento della presentazione del modello F24 o, al contrario, retroagisce tali effetti al momento in cui debiti e crediti vengono a esistenza;
- se il ravvedimento operoso parziale possa ridurre le sanzioni amministrative dovute dal contribuente per la violazioni della norma tributaria.
Per quanto riguarda il primo aspetto, la Corte di cassazione ha censurato la conclusione della Commissione regionale nella parte in cui ritiene che l’istituto in esame non abbia una disciplina specifica e che, di conseguenza, debbano applicarsi le disposizioni di cui all’articolo 1242 del codice civile; secondo la Suprema corte infatti è errato far retroagire gli effetti della compensazione nel presupposto che sia sufficiente la sola coesistenza di debiti e crediti per estinguerli. La compensazione, quindi, doveva essere effettuata nel rispetto delle normative tributarie e, quindi, non in base alle comuni disposizioni del codice civile.
In particolare, secondo i giudici di legittimità, in materia tributaria:
- la compensazione tra crediti e debiti è ammessa soltanto nei casi espressamente previsti dalle specifiche disposizioni normative;
- non può essere derogato il principio secondo il quale “ogni operazione di versamento, di riscossione e di rimborso, e ogni deduzione sono regolate da specifiche, inderogabili norme di legge”.
Inoltre, per la Suprema corte le caratteristiche della compensazione tributaria disciplinate dall’articolo 17, D.lgs. n. 241/1997:
- estendono la possibilità di estinguere l’obbligazione attraverso la compensazione ai tributi non omogenei;
- prevedono la possibilità di applicare l’istituto della compensazione al momento del versamento unitario di diverse imposte e contributi (compensazione speciale);
- stabiliscono che la compensazione debba risultare “dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto e che debba essere effettuata entro la data di presentazione della dichiarazione successiva”.
Poiché la dichiarazione da cui trae origine il credito è del 9 novembre 2004 e la scadenza per il pagamento delle ritenute di acconto è antecedente (16 ottobre 2004), deve concludersi, afferma la Cassazione, che nessun credito d’imposta era ancora venuto a esistenza alla data di pagamento e che, quindi, la pronuncia della Commissione regionale che fa retroagire gli effetti della compensazione a una data precedente la presentazione della dichiarazione non può essere conforme alla legge.
Per quanto riguarda, infine, il secondo aspetto, quello relativo agli effetti del ravvedimento operoso parziale sull’applicazione delle sanzioni amministrative, la Corte ha affermato che il ravvedimento operato secondo tale modalità è inammissibile, poiché ai sensi dell’articolo 13, comma 2, D.lgs. 472/1997, il ravvedimento si perfeziona soltanto dopo il pagamento sia dell’obbligazione sia della sanzione e degli interessi legali.
Massimo D’Amico – Centro Studi CGN