È con la recente risposta all’interpello n. 197/2019 che l’Agenzia delle Entrate ha precisato che le perdite su crediti non sono deducibili se, dai fatti e dalle circostanze evincibili in concreto, l’inattività della società creditrice sottende una volontà liberale.
L’art. 101, c. 5 D.P.R. 22.12.1986, n. 917 stabilisce come regola generale che le perdite su crediti sono deducibili se risultano da “elementi certi e precisi”. Il citato comma 5 stabilisce poi che: “Gli elementi certi e precisi sussistono inoltre quando il diritto alla riscossione del credito è prescritto”.
Il potere dell’Amministrazione finanziaria di contestare che l’inattività dei creditori corrispondesse a un’effettiva volontà liberale si evince dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate 1.08.2013, n. 26/E secondo la quale “La prescrizione del diritto di esecuzione del credito iscritto nel bilancio del creditore (…) ha come effetto quello di cristallizzare la perdita emersa e di renderla definitiva”.
La posizione assunta dall’Agenzia delle Entrate nella risposta al suddetto interpello deriva dal combinato disposto di quanto sopra esposto e dal quale peraltro consegue che, in linea di principio, la prescrizione del credito rappresenta elemento certo e preciso, che consente a un’impresa di dedurre la relativa perdita su crediti, sempre che l’inattività del creditore non abbia corrisposto a un’effettiva volontà liberale, la quale dovrà essere desunta dagli specifici fatti e circostanze pertinenti al caso specifico.
La rilevazione in bilancio di una svalutazione o di una perdita su crediti è elemento valutativo di pertinenza dell’organo amministrativo che, in sede di redazione del bilancio, deve considerare la probabilità di incasso delle somme, secondo le indicazioni del principio contabile OIC15.
Ai fini fiscali, per ridurre i margini di discrezionalità, sono poste due norme:
- l’articolo 106 Tuir che vincola la deducibilità della svalutazione entro un determinato importo parametrato all’ammontare dei crediti iscritti in bilancio;
- l’articolo 101, comma 5, Tuir che limita il diritto alla deduzione delle perdite alla verifica degli “elementi certi e precisi”.
Il quesito oggetto dell’interpello sottoposto all’esame della Direzione centrale riguardava il caso di una società che, pur effettuando numerosi incontri e solleciti per l’incasso dei crediti insoluti, non aveva posto in essere atti o comportamenti interruttivi della prescrizione e nemmeno attivato polizze assicurative a copertura dei crediti insoluti, giustificando tale mancanza con la necessità di dover mantenere dei rapporti commerciali basati su una “gestione informale” ed in considerazione delle prassi di mercato operanti nel Paese di residenza del fornitore.
Tale comportamento inattivo aveva però comportato la sopraggiunta prescrizione dei crediti vantati e il mancato incasso dei crediti insoluti aveva determinato rilevanti pregiudizi all’attività aziendale, considerata la non marginale incidenza.
Nella risposta all’interpello in commento, l’Agenzia conferma la posizione in precedenza espressa, negando la deducibilità di alcune perdite su crediti a causa del comportamento di inattività dell’istante nella riscossione dei crediti scaduti, comportamento che corrisponderebbe ad una volontà liberale.
La giustificazione resa dall’Agenzia a tale posizione risiede nel fatto che “la società istante, pur effettuando numerosi incontri e solleciti per l’incasso dei crediti insoluti, non ha posto in essere atti o comportamenti interruttivi della prescrizione, adducendo come motivazione la circostanza di privilegiare il mantenimento dei rapporti commerciali basati su una “gestione informale” direttamente da parte del sig. (…), in considerazione delle prassi di mercato in (…), Paese nel quale si attribuisce valore a un approccio fiduciario.”
La posizione dell’Agenzia delle Entrate pare altresì in contrasto con quella della Corte di Cassazione (sentenze n. 27296/2014 e n. 18237/2012), ad avviso della quale la prova della sussistenza della definitività della perdita non impone né la dimostrazione che il creditore si sia attivato per esigere il suo credito, né che sia intervenuta la sentenza di fallimento del debitore.
Lavinia Linguanti – Centro Studi CGN