Una recente sentenza della Cassazione (n. 29079/2019) dispone che, in riferimento ad ipotesi di reati tributari, il saldo attivo del conto cointestato può essere sequestrato per intero, anche se la maggior parte del denaro non proviene dall’indagato ma dall’altro titolare.
Ciò deriva dalla considerazione che, stante la cointestazione del conto stesso, entrambi i cointestatari, compreso il soggetto indagato per reati tributari, hanno la possibilità di operare sullo stesso conto senza limitazioni di sorta e con piena disponibilità dello stesso saldo di conto corrente.
Di conseguenza deve ritenersi pienamente sottoponibile a sequestro l’intero compendio e la stessa misura cautelare serve a impedire che, nelle more dell’adozione del provvedimento definitivo di confisca, vengano comunque dispersi i beni che si trovano nella disponibilità dell’indagato.
La vicenda processuale riguarda un padre che aveva chiesto la restituzione delle somme presenti sul conto corrente postale cointestato con il figlio e a questi requisite in quanto indagato per reati tributari.
In sede di ricorso per Cassazione (nel precedente grado di giudizio il Tribunale aveva accolto l’appello dello stesso padre) i giudici di legittimità ricordano che, secondo un consolidato orientamento di legittimità, le somme di denaro depositate su conto corrente bancario cointestato con un soggetto estraneo al reato sono soggette a sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente (art.322 ter c.p) in quanto quest’ultimo si estende ai beni comunque nella disponibilità dell’indagato, non ostandovi le limitazioni provenienti da vincoli o presunzioni operanti, in forza della normativa civilistica, nel rapporto di solidarietà tra creditori e debitori (articolo 1298 codice civile) o nel rapporto tra istituto bancario e soggetto depositante (articolo 1854 codice civile) e ferma restando comunque la successiva possibilità di procedere a un effettivo accertamento dei beni che siano di esclusiva proprietà di terzi estranei al reato (cfr. Cass. n. 36175/2017).
Si ricorda che ai sensi dell’articolo 1854 cc, nel caso di conto corrente intestato a più persone, con facoltà per le medesime di compiere operazioni anche separatamente, gli intestatari sono considerati creditori o debitori in solido dei saldi del conto, cosicché gli stessi possono, legittimamente, disporre, nei confronti dell’ente creditizio presso cui sia istituito il conto, di tutte le somme esistenti a saldo su tale conto.
Al loro interno i rapporti tra i correntisti sono regolati dall’articolo 1298, comma 2, codice civile, secondo cui il debito e il credito solidale si dividono in quote uguali, salvo che non risulti diversamente, cosicché è consentito superare la presunzione di contitolarità derivante dalla cointestazione, attraverso presunzioni semplici – purché gravi, precise e concordanti – da parte dell’intestatario che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa.
Il richiamo alla previsione di cui all’articolo 322-ter codice penale – introducendo la confisca per equivalente nel caso in cui i beni costituenti il profitto o il prezzo del reato non siano aggredibili per qualsiasi ragione – prevede che la confisca possa riguardare beni dei quali il reo abbia in ogni caso la disponibilità.
Il sequestro preventivo dell’intero saldo attivo, inoltre, deve ritenersi legittimo in quanto non sottrae dall’interessato strumenti idonei al recupero di ciò di cui sia stato privato.
In conclusione dalla cointestazione del conto corrente deriva la piena disponibilità del saldo attivo e con essa la sottoponibilità ad essa dell’intero compendio, sia in quanto esso è nella disponibilità dell’indagato, sia per evitare la protrazione del fatto criminoso nel tempo o l’aggravamento delle sue conseguenze o che comunque vengano dispersi i beni stessi.
Restano ferme sia la possibilità di dimostrare la spettanza di tutte le somme al terzo estraneo al reato (o per una quota maggiore rispetto a quella discendente dalla cointestazione secondo quote uguali), onde evitarne la confisca, sia l’eventuale esercizio dell’azione di regresso nei confronti dell’indagato.
Fabrizio Tortelotti