Non può esserci nessuna equiparazione tra il presunto comportamento negligente del contribuente, per un errore tecnico del suo commercialista rispetto al quale è sempre rimasto estraneo, ad un mancato assolvimento degli obblighi tributari. È con questo principio che la Ctr Lombardia, con la sentenza n. 4752/7/2019 del 26 novembre 2019 ha dato ragione a un contribuente.
La vicenda
L’Amministrazione finanziaria aveva irrogato una sanzione, pari al 30% dell’imposta dovuta a una società di capitali rea di aver compensato crediti Iva annuali relativi ai periodi di imposta 2012-2013, risultanti dalla relativa dichiarazione sulla quale era stato apposto il visto di conformità da parte del professionista, ma priva dell’autorizzazione. In particolare, secondo l’Agenzia delle entrate, ai sensi dell’articolo 21 del Dm 31 maggio 1999, n. 164, la professionista non avrebbe effettuato la preventiva comunicazione dei dati e degli elementi da allegare alla domanda.
Dalla sentenza, invero, si evince che la professionista aveva dovuto ripetere l’invio della PEC all’Agenzia delle entrate considerato che, per problemi legati all’inoltro, la prima comunicazione non era pervenuta all’Agenzia delle entrate; peraltro, anche in relazione alla nuova comunicazione inviata non aveva ricevuto alcun riscontro alla sua richiesta.
L’Amministrazione finanziaria, stante la resistenza del contribuente, eccepiva la “culpa in vigilando” ma la società, in merito, precisava che la verifica della sussistenza dell’autorizzazione in esame in capo al professionista mediante la consultazione nell’apposito registro accessibile dal sito dell’Agenzia delle Entrate era consentita al contribuente soltanto dall’anno 2015.
Nonostante la Commissione tributaria provinciale avesse accolto il ricorso non ravvisando alcuna culpa in vigilando della società, l’Agenzia delle entrate appellava la sentenza ribadendo che detto credito Iva poteva essere utilizzato in compensazione se la dichiarazione sulla quale era stato anche apposto il visto di conformità fosse stato rilasciato da un professionista che risultava “abilitato al rilascio del visto stesso e che, pertanto, la dichiarazione vistata da un soggetto non abilitato equivale ad una dichiarazione non firmata”.
La sentenza della Commissione regionale
La Commissione tributaria regionale Lombardia ha confermato la decisione dei giudici di prime cure non ravvisando, a carico del contribuente, nessuna “culpa in vigilando et in eligendo” sulla base dei seguenti elementi:
- sussistenza di un rapporto di fiducia e di lunga durata tra il contribuente e la professionista;
- mancata consapevolezza del professionista circa l’esito dell’invio della comunicazione da effettuare ai sensi dell’articolo 21 del Dm 31 maggio 1999, n. 164 e, nondimeno, impossibilità da parte del contribuente di accertare preventivamente il fatto che l’autorizzazione fosse stata rilasciata;
- non può essere addebitato comunque al contribuente il ritardo nella comunicazione a carico del professionista. In merito, infatti, la Commissione regionale evidenzia che il contribuente appare in assoluta buona fede, non avendo determinato alcun danno erariale e avendo peraltro esposto in dichiarazione il credito IVA.
I precedenti giurisprudenziali
La sentenza in commento è l’ultima di una serie di analoghe pronunce nelle commissioni di merito milanesi. A tal riguardo, infatti, la recente sentenza della Ctr n. 3335/2019 ha evidenziato che “il sistema sanzionatorio non può colpire il contribuente per ogni trascurabile irregolarità o violazione e non può essere disgiunto dagli obbiettivi per cui la legge colpisce e sanziona. Vale a dire la prevenzione delle frodi in danno dell’Erario, il contrasto all’evasione delle imposte, lo scoraggiare le elusioni tributarie e l’assicurazione della esatta riscossione del carico tributario. Tanto che lo statuto del contribuente impone all’Amministrazione di instaurare un contraddittorio col contribuente, al fine di rimuovere quegli ostacoli o incomprensioni o equivoci, che sempre ci possono essere”.
Da ultimo, si ricorda che anche la Suprema corte di cassazione, con la Sentenza del 27 febbraio 2017 n. 4960, ha statuito che i presupposti affinché una violazione sia meramente formale e quindi non punibile sono:
- non deve arrecare pregiudizio alle azioni di controllo;
- non deve incidere sulla determinazione della base imponibile dell’imposta.
Massimo D’Amico – Centro Studi CGN