Coronavirus: smart working o tele-lavoro?

Stante la contingente situazione emergenziale venutasi a creare a seguito della pandemia causata dal virus COVID-19, nella quale il Paese suo malgrado è costretto a vivere, lo Smart Working, il lavoro agile e il tele-lavoro sono entrati a far parte della quotidianità di un ingente numero di lavoratori. In questo articolo analizziamo l’evoluzione di questo strumento e come abbia modificato le abitudini degli italiani al tempo del Coronavirus.

Smart Working è sicuramente l’appellativo che più viene utilizzato dai media nel linguaggio comune, ma considerando le modalità urgenti con le quali si è passati dal lavorare nelle sedi aziendali a poter farlo da casa, forse sarebbe più corretto definirlo tele-lavoro. Per poter parlare di vero e proprio Smart Working, dovremmo fare riferimento non solo al mero lavoro in remoto, ma ad una serie di fattori quali la cultura aziendale, l’efficienza dell’infrastruttura tecnologica e la forte consapevolezza di lavoratori e datori di lavoro che tale modalità garantisca al contempo benessere individuale e un incremento della produttività. Per analizzare le differenze tra le diverse definizioni, si consiglia la lettura dell’articolo Smart working: cos’è e come viene regolato.

Sin dall’introduzione nel nostro ordinamento del lavoro agile sia per il settore pubblico che privato, con l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del disegno di Legge contenente “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”, soprattutto le grandi aziende hanno valutato positivamente l’introduzione di strumenti di flessibilità da concedere al dipendente. Nell’ottica di poter agevolare i lavoratori e quindi accrescere la propria produttività, le infrastrutture di queste aziende, potendoselo permettere, si sono dotate nel tempo di tecnologie, spazi e flessibilità oraria, le cui fondamenta tuttavia si sono basate sulla fiducia reciproca dettata dall’identità aziendale, così da consentire l’effettivo Smart Working.

Con l’emergenza dettata dal contenimento del contagio da COVID-19, l’Italia si è ritrovata nel giro di pochissimi giorni a dover fronteggiare la chiusura fisica di molte sedi aziendali e a dover aderire in modo repentino a forme di tele-lavoro per quante più persone possibile, in ottemperanza anche alle raccomandazioni dettate dal D.P.C.M. 11 marzo 2020, articolo 1.7 lett. a).

Per comprendere il fenomeno sono da tenere in considerazione:

  • la tempestività con cui le misure del Governo sono state attuate: molte aziende hanno dovuto correre ai ripari in tempi record per poter adeguare le proprie infrastrutture al lavoro da remoto;
  • una generale mancanza di cultura dello Smart Working, per la maggior parte delle categorie coinvolte;
  • la possibilità di lavorare sostanzialmente solo dalla propria abitazione, a seguito delle restrizioni imposte per contrastare la diffusione del COVID-19.

Per questi ed altri motivi si ritiene più corretto utilizzare il termine tele-lavoro. Il Coronavirus sostanzialmente ha imposto agli italiani di lavorare da remoto, per la maggior parte dei casi in postazione fissa per svolgere la prestazione lavorativa mediante strumenti personali o forniti dalla propria azienda in un orario prefissato. Cambia dunque il luogo della prestazione, ma non cambiano obblighi e doveri dei dipendenti e del datore di lavoro.

In particolare, un approfondimento è dovuto in merito alla sezione relativa ai controlli che possono essere effettuati dal datore di lavoro. Data la particolare situazione che il tele-lavoro impone (accesso da remoto), cruciale diventa l’applicazione corretta dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, che disciplina la predisposizione di impianti audiovisivi nel luogo di lavoro. Il principio generale che dovrà essere dunque adottato è il divieto dell’utilizzo di software o altre tecnologie (es. web-cam) in grado di poter attuare un controllo dell’attività lavorativa remota; tuttavia se l’utilizzo di questa strumentazione sia stato preventivato mediante un accordo sindacale o sia stato autorizzato dall’Ispettorato territoriale del lavoro prima dell’inizio della prestazione, tali apparecchiature potranno essere installate, ma sempre con il rispetto dei vincoli imposti dallo Statuto.

Un esempio di possibile controllo da parte del datore di lavoro può configurarsi qualora vi sia il fondato sospetto che il dipendente utilizzi la strumentazione aziendale in orario lavorativo per scopi totalmente diversi e non contrattualmente leciti. A questo punto il datore potrà attuare un controllo della cronologia dei siti visitati; tuttavia tale possibilità dovrà essere ottemperata in un accordo aziendale o se espressamente previsto nel codice di condotta fornito al dipendente.

Michele Barba – Centro Studi CGN