In caso di cessazione della partita IVA e successivo decesso del contribuente, in caso di crediti ereditari, va emessa fattura? E se sì, è soggetta a IVA? Chi la deve emettere? L’Agenzia delle entrate fornisce i chiarimenti.
Il caso
Il caso riguarda l’erede di un architetto: il de cuius in vita si era insinuato in una procedura fallimentare per un credito professionale per il quale era stato emesso un avviso di parcella.
Successivamente, il professionista ha chiuso la partita IVA ancora in pendenza di fallimento e alcuni anni dopo è deceduto; gli eredi sono subentrati nel credito insinuato.
Solo dopo il decesso è stato predisposto un piano di riparto del fallimento che ha previsto il pagamento parziale del credito professionale. Il curatore ha richiesto agli eredi l’apertura della partita IVA originariamente chiusa ovvero, in alternativa, l’apertura di una nuova partita IVA per l’incasso del credito in argomento, in base a quanto disposto dalla sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite n. 8059 del 21/04/2016 e dalla Risoluzione 34/E/2019.
L’erede ritiene applicabile la R.M. n. 501918 del 5 giugno 1973, la quale prevede che nel caso di decesso del titolare di un’impresa individuale prima del verificarsi del momento impositivo, poiché l’impresa ha cessato di esistere per effetto della morte del suo titolare, non vi è dubbio che i corrispettivi pagati agli eredi e riguardanti prestazioni rese dall’imprenditore deceduto devono considerarsi fuori del campo di applicazione dell’imposta sul valore aggiunto per assenza del presupposto soggettivo.
La soluzione dell’Agenzia
Nella Risposta n. 52 del 12 febbraio 2020, l’Agenzia in primis richiama l’art. 6 del DPR 633/ 1972 il quale, al comma 3, stabilisce che le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo.
Richiama, inoltre, la Risoluzione 34/E/2019, nella quale è stato specificato che in presenza di fatture da incassare o prestazioni da fatturare, gli eredi non possono chiudere la partita IVA del professionista defunto sino a quando non viene incassata l’ultima parcella (…). Resta, peraltro, salva la possibilità anticipare la fatturazione delle prestazioni rese dal de cuius e di chiudere la partita IVA, salvo, in tale evenienza, computare nell’ultima dichiarazione annuale IVA “anche le operazioni indicate nel quinto comma dell’articolo 6, per le quali non si è verificata l’esigibilità dell’imposta” (così l’articolo 35 comma 4 del decreto IVA), ossia anticipare l’esigibilità rispetto al momento dell’effettivo incasso.
Nel caso in esame, l’Amministrazione finanziaria ritiene che la prestazione in esame rientri nel campo di applicazione dell’IVA. Essendo però gli eredi impossibilitati a porre in essere gli adempimenti relativi all’obbligo di fatturazione quando avviene il pagamento del corrispettivo da parte della curatela, momento in cui si verifica anche l’esigibilità dell’imposta, e non potendo gli stessi riaprire la partita IVA del de cuius, l’Agenzia stabilisce che l’obbligo di fatturazione relativo alla predetta operazione da assoggettare ad IVA dovrà essere assolto dal committente (curatore fallimentare) ai sensi dell’art.6, c.8, del D.Lgs. 471/1997.
L’Agenzia afferma inoltre che tali compensi professionali (per le prestazioni effettuate dal de cuius e percepite dagli eredi) costituiscono redditi di lavoro autonomo tassati secondo il principio di cassa con tassazione separata, salvo la facoltà per la tassazione ordinaria di cui all’articolo 16, comma 3 del TUIR. Su tali compensi i sostituti d’imposta dovranno effettuare la ritenuta d’acconto ai sensi dell’articolo 25 del D.P.R n. 600 del 1973.
Rita Martin – Centro Studi CGN